La commercializzazione dei farmaci a confronto con gli usi off-label: il difficile bilanciamento tra tutela della salute e concorrenza
Giorgia Guerra
Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali, Università di Padova

Riassunto. Dopo aver ricostruito il quadro normativo in materia di utilizzi off-label dei farmaci, lo scritto considera un recente provvedimento dell’Agcm di condanna di alcune case farmaceutiche per violazione dell’art. 101 lett. c TFUE. Si affrontano i problemi ed i profili più critici che riguardano il mantenimento della sicurezza del prodotto farmaceutico autorizzato all’immissione in commercio, ponendo attenzione alle condizioni in cui, invece, avviene un utilizzo off-label. L’articolo pone attenzione al profilo soggettivo, ovvero alla catena dei soggetti che intervengono nel processo di autorizzazione e utilizzo del farmaco. Muovendo da queste osservazioni, si esprimono alcune considerazioni relative alla configurazione del ‘mercato rilevante’ e, più in generale, ai profili concorrenziali.
Parole chiave. Autorizzazione all’immissione in commercio, mercato rilevante, off-label.


Abstract. Firstly, the article will describe the legal framework of off-label drugs regulation. Then, it will take into consideration the recent sentence by Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato – the Italian antitrust authority) condemning two big pharmaceutical companies for violating article 101 lett. c TFEU.
The article will face the critical issues involved in the case and related to the protection of patients’ safety. It will underline the subjective profile and it will express some considerations about the topics ‘relevant market’ and competition legal issues involved in the off-label usages.
Key words. Authorization to the market, off-label, relevant market.

1. Il quadro regolatorio italiano in materia di off-label
Com’è noto, l’espressione off-label, o fuori etichetta, fa riferimento al fatto che, in via eccezionale e in deroga al dovere di osservanza del Riassunto delle caratteristiche del prodotto (Rcp), un farmaco sia usato al di fuori delle indicazioni ivi riportate qualora il medico, cui spetta la decisione di proporre la terapia al paziente, lo ritenga utile per la salute del suo assistito. Generalmente tale utilizzo avviene quando il farmaco è impiegato secondo una diversa indicazione terapeutica; un diverso dosaggio e/o per un paziente che non appartiene al ‘gruppo’ dei pazienti rispetto ai quali il farmaco ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (riportati nell’Rcp). Si tratta, in altri termini, di un’opzione terapeutica personalizzata che i medici decidono di attuare sotto la propria responsabilità.
La regolamentazione della prescrizione e dell’uso dei farmaci off-label è notevolmente disomogenea tra i paesi europei. In alcuni Stati, come Francia1, Belgio e Svezia, le autorità regolatorie sono propense a vietare o scoraggiare l’uso di un farmaco al di fuori delle indicazioni terapeutiche. Ne consegue che questioni relative all’uso dei farmaci off-label, presentatesi analogamente in tutti gli Stati europei, vengono affrontate nel nostro ordinamento in un modo peculiare e più ‘permissivo’ rispetto agli altri paesi2.
La diversità delle discipline nazionali è naturalmente dovuta al fatto che la materia sanitaria è di competenza statale. Nonostante ciò, è bene qui ricordare che a livello europeo sul tema specifico si è già espressa la Corte di giustizia Ue, con la sentenza del 29 marzo 2012, C-185/103 (Commissione c. Polonia), per fornire un’interpretazione restrittiva delle applicazioni off-label, rilevando come queste debbano rispondere a speciali esigenze di natura medica, fondarsi su considerazioni strettamente terapeutiche e in assenza di farmaci già autorizzati per la medesima indicazione.
Ebbene, entro questo variegato quadro appare ancor più singolare la disciplina italiana della prescrizione e dell’uso dei farmaci off-label, oggetto di sempre maggiori attenzioni da parte della dottrina4. Per tale motivo, il presente scritto è volto ad affrontare gli aspetti più problematici in materia, alla luce delle vicende recenti5.
Ricostruiamo dunque il quadro normativo, mettendo in evidenza quali sono le regole che maggiormente contribuiscono a determinare le peculiarità del nostro sistema, tra cui il recentissimo d.l. 20 marzo 2014, n. 36.
In primo luogo, il nostro ordinamento deroga ad un principio generale in materia6, secondo cui l’utilizzo di un medicinale da parte del medico e l’ammissione dello stesso all’interno del regime di rimborsabilità può avvenire solo qualora tale medicinale abbia ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio per le medesime modalità di somministrazione, dosaggio o indicazioni terapeutiche d’uso7. La l. 648 del 1996, entrata in vigore l’1 gennaio 1997, infatti, ha concesso la rimborsabilità dei farmaci non ancora registrati, ovvero per indicazioni non autorizzate, condizionata all’assenza di una valida alternativa terapeutica. A tal fine, la Commissione unica del farmaco (Cuf) è competente ad elaborare un apposito elenco di farmaci ammessi a tale rimborso eccezionale poiché rivolto ad usi terapeutici che non hanno ricevuto l’autorizzazione. Tale elenco costituisce la cd Lista 648. Tra i farmaci che possono essere ivi elencati sono ricompresi: i medicinali innovativi in commercio in altri Stati ma non sul territorio italiano; i medicinali ancora non autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica; i medicinali da impiegare per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata 8.
Successivamente la l. 94/98, nota come ‘legge Di Bella’9, ha circoscritto la prescrizione degli off -label alle seguenti ipotesi: qualora il medico ritenga che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già stata approvata un’indicazione terapeutica; quando l’utilizzo fuori indicazione sia noto e conforme alle pubblicazioni scientifiche apparse su riviste internazionali e vi sia il consenso espresso del paziente. L’uso off-label diviene, in altri termini, extrema ratio. Da esso possono discendere per il medico gli estremi per ravvisare le responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. (responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) e 2236 c.c. (responsabilità del prestatore d’opera).
Tale orientamento è stato confermato anche dalla successiva l. 27 dicembre 2006, n 296, la Finanziaria 2007, con la quale il legislatore ha vietato, nelle strutture pubbliche, applicazioni farmacologiche diverse da quelle autorizzate a carico del Ssn ad eccezione di quelle che avvenivano nell’ambito delle sperimentazioni quando esse assumevano un carattere diffuso e sistematico divenendo, così, una sorta di “alternativa” terapeutica per patologie per le quali fossero già presenti farmaci autorizzati ad hoc.
Ulteriore intervento è stato apportato dalla legge del 24 dicembre 2007, n. 244, la Finanziaria del 2008, la quale supera il criterio della sufficienza dell’avvallo della letteratura scientifica internazionale in materia, stabilendo che la prescrizione di un off-label non possa in nessun caso avvenire quando il farmaco non è collocato nella seconda fase di sperimentazione accreditata, ovvero non è dimostrato che sia plausibile, sicuro ed efficace.
Infine, significativa è stata la disposizione del Decreto Balduzzi (d.l. 158/2012)10, che, seppur non convertita in legge, aveva introdotto la possibilità di dispensare un farmaco non autorizzato unicamente nel caso in cui, a giudizio della Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa, il medicinale possedesse un profilo di sicurezza, con riferimento all’impiego proposto, non inferiore a quella del farmaco autorizzato e quest’ultimo risultasse eccessivamente oneroso per il Ssn.
2. Il decreto legge 20 marzo 2014, n 36:
la reazione al peculiare provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato

Con il d.l. 36/2014, noto come d.d.l. Lorenzin, e successivi emendamenti, il Governo ha “reagito” alla recente ordinanza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) del 5 marzo 2014 in tema di applicazione dei divieti antitrust nella prescrizione terapeutica off-label, per la cura di alcune patologie della vista, di un farmaco antitumorale.
Merita una breve descrizione la vicenda che ha dato avvio al provvedimento. Una nota casa farmaceutica produce un farmaco di origine biologica (Avastin®, contenente il principio attivo bevacizumab), sviluppato e commercializzato per la cura di diverse patologie oncologiche. In tutto il mondo, tale farmaco è stato autorizzato e registrato per il trattamento del tumore al colon-retto, all’ovaio, alla mammella, al rene e al polmone. La pratica clinica ha messo, tuttavia, in rilievo che lo stesso farmaco risulterebbe efficace anche per alcune patologie della vista, le maculopatie essudative e il glaucoma vascolare, pur essendo tale uso accompagnato da dubbi circa la sicurezza per la salute del paziente 11. Da qui una certa tendenza da parte dei medici a prescriverlo off-label per la cura di tali patologie oftalmiche, le quali all’estero sono per lo più curate mediante la somministrazione di un apposito farmaco biologico (Lucentis® - ranibizumab) prodotto da altra nota casa farmaceutica, su licenza della prima casa farmaceutica12.
L’Aifa ha inizialmente inserito il farmaco Avastin nella cd lista 648, facendo pertanto sì che la sua prescrizione off-label per la cura delle maculopatie essudative e del glaucoma vascolare venisse posta a carico del Ssn. Tale misura, però, è stata via via ridimensionata a seguito di interventi da parte del Tar Lazio13 e di una serie di evidenze cliniche che hanno messo in rilievo il rischio di effetti collaterali dello stesso Avastin, finché il 18 ottobre 2012 l’Aifa ha deciso di eliminarlo completamente dalla Lista 648, dopo che l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) aveva modificato l’Rcp di tale medicinale, per inserirvi i potenziali eventi avversi per l’uso intraoculare.
La mancata registrazione del farmaco Avastin per usi oftalmologici e la modifica dell’Rcp, avvenuta per comunicare le differenze sussistenti tra i due farmaci, uno prescritto off-label dai medici e l’altro studiato appositamente per le patologie della vista, sono state interpretate dall’Agcm come condotte funzionali a differenziare in modo artificioso i due prodotti al fine di condizionare le politiche di acquisto. L’Autorità ha, pertanto, sanzionato le due imprese farmaceutiche produttrici, assumendo che esistesse tra le due un’intesa orizzontale volta a limitare il confronto concorrenziale tra le stesse nel mercato rilevante delle cure destinate alle patologie della vista 14. L’Agcm ha qualificato, in sintesi, le condotte delle imprese come finalizzate a costituire un’intesa unica e complessa, contraria all’art. 101, lett. c) TFUE.
Il provvedimento ha suscitato un dibattito mediatico molto intenso e ha provocato una risposta di natura politica, scaturita nell’emanazione del decreto 36/2014 e successive modifiche. A commento di tale reazione, la dottrina giuridica ha già messo in luce che “solo in apparenza si è trattato di un’ordinaria applicazione dei divieti antitrust, perché in realtà l’Agcm ha preso posizione sull’esigenza di una diversa regolamentazione giuridica del mercato farmaceutico, ponendo una questione di vera e propria politica del diritto”15.
Questa soluzione ha, inoltre, in un primo tempo, contribuito ad allontanare le scelte dell’ordinamento italiano rispetto a quelle presenti nel panorama europeo. Prima delle modifiche, il testo originale del decreto prevedeva, infatti che, nel caso in cui l’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale non comprendesse un’indicazione terapeutica per la quale si fosse ravvisato un motivato interesse pubblico all’utilizzo: (i) l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) poteva procedere direttamente alla registrazione della medesima, previa cessione a titolo gratuito al Ministero della salute dei diritti su tale indicazione da parte del titolare dell’autorizzazione in commercio (Aic); ovvero, (ii) qualora il titolare dell’autorizzazione in commercio avesse dichiarato di voler procedere in proprio alla registrazione della nuova indicazione terapeutica, si dovevano definire con l’Aifa i termini e le modalità di avvio dei relativi studi; (iii) qualora invece il titolare dell’Aic si fosse opposto immotivatamente alla registrazione della nuova indicazione terapeutica, se ne sarebbe data adeguata informativa nel sito istituzionale dell’Aifa.
Con il successivo emendamento 3.505, approvato dalla Camera in sede di conversione del d.l. 36/2014, è stato sostituito uno dei più significativi articoli del d.l. off-label: l’articolo 3.
Nella nuova versione, la valutazione volta a legittimare l’uso off-label di un medicinale non è più basata su un giudizio di equivalenza rispetto al farmaco on-label esistente, ma si stabilisce che anche qualora “sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’Aifa, sono inseriti nell’elenco di cui al comma 4, con conseguente erogazione a carico del servizio sanitario, i medicinali che possono essere utilizzati per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità ed appropriatezza. In tal caso l’Aifa attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti ed assume tempestivamente le necessarie determinazioni” 16.
3. Il ‘valore’ dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci
L’atto amministrativo con il quale si legittima un determinato uso terapeutico di un farmaco, nonché la sua stessa presenza sul mercato, è l’Aic.
Come si può apprendere dal sito ufficiale dell’Aifa17, nel momento in cui l’Aic è concessa, questa diviene la ‘carta d’identità’ del farmaco, poiché stabilisce:
• il nome del medicinale;
• la sua composizione;
• la descrizione del metodo di fabbricazione;
• le indicazioni terapeutiche, le controindicazioni e le reazioni avverse;
• la posologia, la forma farmaceutica, il modo e la via di somministrazione;
• le misure di precauzione e di sicurezza da adottare per la conservazione del medicinale e per la sua somministrazione ai pazienti;
• il riassunto delle caratteristiche del prodotto;
• un modello dell’imballaggio esterno;
• il foglio illustrativo;
• la valutazione dei rischi che il medicinale può comportare per l’ambiente.

Quando, perciò, per un medicinale sia rilasciata un’Aic, ogni successiva modifica nel dosaggio o nella forma farmaceutica, nella presentazione o nella via di somministrazione, comporta la richiesta di un’ulteriore autorizzazione.
Si tratta di un momento cruciale della vita del prodotto, con il quale l’impresa richiedente, nell’esercizio della sua piena libertà d’impresa, auspica di entrare a far parte di un determinato mercato, divenendo così concorrente delle imprese eventualmente già presenti in esso e assumendosi consapevolmente tutte le conseguenti responsabilità.
L’autorizzazione rappresenta, al contempo, traguardo e blocco di partenza per la tutela dei diritti dei soggetti responsabili della produzione e per i consumatori-pazienti.
Si parla di ‘traguardo’ in considerazione del fatto che l’ottenimento dell’autorizzazione testimonia la positiva conclusione di un lungo iter scientifico-amministrativo, composto di varie fasi di studio e sperimentazione, ed eseguito allo scopo principale di testare e garantire la sicurezza del farmaco e di raccogliere informazioni in merito ad eventuali profili di rischio legati a potenziali reazioni avverse o effetti collaterali18. Dal punto di vista amministrativo, in Europa la competenza a rilasciare l’autorizzazione è ripartita tra l’Ema e le autorità nazionali del farmaco19. L’Ema ha competenza esclusiva sulla procedura centralizzata per determinate categorie di farmaci, tra i quali quelli di origine biotecnologica, e consiste in una valutazione della documentazione presentata dall’impresa richiedente (Marketing authorization holder, Mah), che viene effettuata da un apposito comitato scientifico (Committee for Human Medicinal Products, Chmp) e trasmessa alla Commissione Ue, la quale adotta una decisione con cui conferisce un’Aic valida per tutto il territorio Ue20.
Il secondo significato dell’Aic sta ad indicare che, lungi dall’essere solamente un mero atto formale amministrativo, l’autorizzazione in parola comporta molte conseguenze sul piano pratico sia per l’ordinamento sia per l’impresa farmaceutica e i consumatori.
Innanzitutto, l’autorità competente ad emanare l’autorizzazione ha l’obbligo di garantire, attraverso il provvedimento adottato, il sufficiente e ragionevole grado di sicurezza ed efficacia del medicinale. Nell’apposito riassunto delle caratteristiche del prodotto (Rcp), infatti, l’Ema approva le indicazioni terapeutiche e la posologia, identificando, così, gli unici utilizzi corretti on-label da parte dei medici. Ciò vale, sia nell’ipotesi di approvazione di un nuovo medicinale sia in quella di approvazione di una nuova indicazione terapeutica di un farmaco già in commercio e previamente approvato per altri usi terapeutici. Ne consegue che, in assenza di Aic, un farmaco non può essere commercializzato poiché non vi è garanzia in merito alla sua sicurezza ed efficacia.
L’Aic è dunque prioritariamente il sigillo di sicurezza del prodotto per i consumatori finali.
L’attribuzione di tale ratio, oltre ad essere desumibile dalla regolamentazione europea in materia di regolamentazione di farmaci è avvallata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Nella già ricordata sentenza del 29 marzo 2012, Commissione vs Polonia, la Corte ha affermato che, ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2001/83/CE, la commercializzazione dei medicinali sul mercato Ue è subordinata al conseguimento dell’Aic, ed ha così decretato l’inscindibilità tra le condizioni di ‘sicurezza’ e ‘mercato rilevante’ 21.
Da un punto di vista sostanziale, all’autorizzazione consegue, dunque, l’assunzione di responsabilità da parte dell’impresa farmaceutica che l’ha ottenuta sia sul fronte della sorveglianza della sicurezza del prodotto in commercio sia sul fronte commerciale.
Concentriamo qui l’attenzione sul primo profilo, mentre al secondo è dedicato il paragrafo successivo, data l’importanza che rivestono le conseguenze di natura commerciale derivanti dall’autorizzazione nella recente vicenda esaminata in precedenza.
Il titolare di Aic ha l’obbligo di registrare con la massima urgenza tutte le sospette reazioni avverse dei medicinali verificatesi nella fase post-marketing a garanzia del mantenimento della sicurezza del prodotto22. Tale obbligo permane anche relativamente agli eventuali utilizzi off-label del medicinale, in merito ai quali, anzi, in base al principio di precauzione, l’impresa è tenuta ad includere nel foglietto illustrativo le informazioni relative agli eventuali effetti indesiderati derivanti dall’utilizzo off-label di cui si ha conoscenza.
D’altro canto il mantenimento di un elevato livello di sicurezza del prodotto farmaceutico è una priorità per l’ordinamento europeo e uno dei principali attori responsabili è l’impresa farmaceutica. Sia per intraprendere e proseguire la sperimentazione sia per immettere in commercio il prodotto medicale, occorre effettuare una costante valutazione rischio-beneficio, specie in relazione al fatto che, soprattutto per farmaci di origine biotecnologica, ci si trova spesso a dover affrontare long-term risks e potential long-term consequences (o danni lungolatenti), ossia pericoli non conoscibili attraverso le conoscenze scientifiche del momento23.
Se consideriamo, invece, l’operato dei clinici24, l’Aic svolge l’importante ruolo di circoscrivere gli usi terapeutici relativamente ai quali si sono ottenute sufficienti evidenze di sicurezza ed efficacia. È, infatti, pacificamente riconosciuta in giurisprudenza la responsabilità professionale del medico per eventuali danni derivanti al paziente causalmente connessi all’impiego off-label del farmaco, reputato dal medico appropriato al caso specifico25.
4. Autorizzazione in commercio e usi terapeutici off-label: profili concorrenziali
Il provvedimento di Aic di un farmaco indica quali sono gli usi testati e sicuri del farmaco e, allo stesso tempo, segna il momento a partire dal quale la casa farmaceutica produttrice può iniziare a sfruttare il prodotto dal punto di vista commerciale.
L’atto determina l’acquisizione dei diritti di vendita sul prodotto, l’individuazione dei potenziali soggetti concorrenti e legittima le azioni a tutela della concorrenza.
Si pensi, ad esempio, al profilo della pubblicità del prodotto che rappresenta, per un’industria farmaceutica, il motore per lo sfruttamento del prodotto a livello concorrenziale.
L’art. 114 del d.lgs. 219/2006 che recepisce la direttiva 2001/83/CE stabilisce che “è vietata qualsiasi pubblicità di un medicinale per cui non è stata rilasciata un’Aic conforme al presente decreto, al regolamento CE n. 726/2004 o ad altre disposizioni comunitarie vincolanti. Tutti gli elementi della pubblicità di un medicinale devono essere conformi alle informazioni che figurano nel riassunto delle caratteristiche del prodotto”.
La casa farmaceutica non può pubblicizzare l’utilizzo off-label del farmaco, neppure se esso rappresenta una prassi molto diffusa nella pratica clinica26. Anzi, in quest’ultima fattispecie sembrerebbe rispondere al dovere di assunzione di un ruolo sempre più proattivo da parte della casa farmaceutica, un comportamento funzionale a mettere in evidenza gli eventuali profili di rischio dell’utilizzo off-label, dando a tali informazioni la corretta diffusione27. Lo sfruttamento commerciale deve, quindi, avvenire in riferimento agli usi, e solo quelli, autorizzati e riconosciuti come sicuri, onde evitare di legittimare di fatto prassi che sviliscono il laborioso processo di valutazione dell’efficacia e sicurezza del prodotto che precede, ed è indispensabile per ottenere, l’autorizzazione.
Dal quadro regolatorio pare, infatti, che l’autorizzazione sia funzionale a preservare prioritariamente la sicurezza del paziente rispetto ai diritti commerciali dell’azienda farmaceutica. Appare, pertanto, criticabile il provvedimento dell’Agcm, laddove afferma che “nella prospettiva antitrust, l’Aic rappresenta una barriera all’ingresso di un farmaco rispetto alla sua commercializzazione in generale, superata la quale i mercati rilevanti in cui il posizionamento del prodotto potrà essere valutato sono definiti dagli usi in concreto – tra cui quelli off-label – adottati nella prassi medica” (p 72 del provvedimento in esame). Da questa espressione, infatti, sembrerebbe che il profilo di tutela dei diritti di sfruttamento commerciale derivante dall’autorizzazione fosse prioritario rispetto a quello di tutela della salute del paziente.
Dal provvedimento di autorizzazione del farmaco derivano, poi, gli elementi ‘strutturali’ funzionali a determinare il farmaco. Tant’è che ‘l’identità’ del farmaco è data non solo dal principio attivo ma anche, e con pari importanza, dalla forma farmaceutica, dal dosaggio e dalle modalità di somministrazione poiché, come si evince dall’art. 10 della direttiva 2001/83/CE “in caso di cambiamento della o delle sostanze attive, delle indicazioni terapeutiche, del dosaggio, della forma farmaceutica e della via di somministrazione rispetto a quelli del medicinale di riferimento, sono forniti i risultati delle prove precliniche o delle sperimentazioni cliniche appropriate”. Non solo, quindi, ogni cambiamento relativo ad uno di questi elementi caratterizzanti richiede nuovi studi preclinici e clinici, ma – come ha già avuto occasione di confermare la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 28 –, esso configura, da un punto di vista funzionale e strutturale, un nuovo farmaco. Se, dunque, la “preparazione galenica magistrale sterile” – come è stata definita dal Consiglio superiore di sanità nel parere del 15 maggio 201429 – è preparata sulla base di una prescrizione individuale, e concessa solo in centri di alta specializzazione30, il soggetto responsabile della preparazione non è più individuabile nell’impresa farmaceutica, bensì nel farmacista che concretamente produce il farmaco. È la farmacia ospedaliera che diviene, infatti, garante della sicurezza del nuovo preparato e della sua distribuzione (p. 6 del documento).
Importanti sono, altresì, le conseguenze dell’Aic per la determinazione del mercato rilevante dello specifico farmaco.
È questo un concetto chiave, poiché il ‘mercato rilevante’ rappresenta il primo elemento da considerare nel caso di sospetta violazione delle regole sulla concorrenza. Esso è funzionale a stabilire la portata delle regole sulla concorrenza rispetto alle pratiche restrittive e all’abuso di posizione dominante (Regolamento CE n. 1/2003) e la portata dei regolamenti sulle fusioni (Regolamento CE n. 139/2004).
In sintesi, il mercato rilevante combina il mercato del prodotto e il mercato geografico definiti come segue: il mercato del prodotto rilevante comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati; il mercato geografico rilevante comprende l’area in cui le imprese interessate forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee 31.
Quando la Commissione, nel corso di un’analisi preliminare, tenta di definire il mercato del prodotto, verifica se il prodotto A e il prodotto B appartengono allo stesso mercato e cerca di stabilire il mercato geografico fornendo una panoramica della suddivisione delle quote di mercato detenute dalle parti in questione e dai loro concorrenti, i prezzi applicati e le eventuali differenze di prezzo.
Dopo aver definito il mercato del prodotto e il mercato geografico, la Commissione esegue un’analisi più dettagliata basata sul concetto di sostituibilità32. Le imprese soggette ad un regime concorrenziale devono rispettare due vincoli principali: la sostituibilità sul versante della domanda e la sostituibilità sul versante dell’offerta. Un mercato è competitivo se i consumatori possono scegliere fra una gamma di prodotti con caratteristiche simili e se il fornitore non incontra ostacoli a fornire prodotti o servizi su un dato mercato.
Da questa breve digressione sul significato di “mercato rilevante” appare discutibile, o quanto meno degno di riflessione, il modo in cui l’Agcm individua il mercato cui afferiscono i due farmaci: presumendo che Avastin e Lucentis siano sostituibili, il provvedimento farebbe rientrare entrambi nello stesso mercato rilevante dei farmaci per la cura di patologie della vista dovute a disordini vascolari oculari. L’interscambiabilità tra i farmaci avverrebbe, in questo caso, tra l’uso on-label di un farmaco e l’uso off-label di un altro, ovvero, ponendo attenzione agli elementi caratterizzanti del farmaco appena ricordati, tra un farmaco on-label ed un farmaco totalmente diverso anche da quello che, a prima vista e con riguardo solamente al principio attivo in uso, si considera off-label. Le conseguenze di ciò sono particolarmente rilevanti in punto di mantenimento della sicurezza del prodotto, basti pensare al fatto che quando le farmacie ospedaliere o fiduciarie modificano, manipolano e frazionano il principio attivo di Avastin, per ottenere i dosaggi utili alla somministrazione per uso oftalmologico, muta sia la scadenza del nuovo prodotto ottenuto che la modalità di somministrazione (non più venosa ma intraoculare) approvate in sede di autorizzazione.
La descrizione dei prodotti che formano il ‘mercato rilevante’ nelle fattispecie concrete non può, però, scaturire o essere dedotta dalle prassi mediche, come avviene nel provvedimento in esame, poiché, relativamente al tipo di prodotti, non è la sola ‘domanda dei consumatori’ a determinare il mercato. Oltre ad essa, incide, infatti, in modo determinante, ciò che l’ordinamento decide di autorizzare sulla base dello studio dei profili di sicurezza di ciascun prodotto. L’individuazione dei prodotti sicuri è, pertanto, prioritaria alla definizione di mercato rilevante. La dottrina ha già chiarito che, senza alcun dubbio, la sostituibilità va intesa, almeno in principio, in senso oggettivo e astratto, poiché diversamente si rischierebbe di rendere soluzioni di volta in volta differenti, in ragione della diversa percezione del carattere succedaneo dei beni o dei servizi o di altri meccanismi non altrettanto affidabili 33. Si tratta di una considerazione che nel settore farmaceutico acquisisce ancora più importanza. In termini pratici, dunque, solo il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco, relativa alla specifica finalità terapeutica interessata, rappresenta la condizione essenziale perché un determinato prodotto farmaceutico possa “competere” con altri ad identificare il mercato rilevante delle patologie di riferimento. Da ciò è, poi, possibile individuare esattamente le imprese concorrenti.
5. Conclusioni
In un contesto globale di sostenibilità economica e finanziaria del Ssn, è sempre più difficile mantenere l’equilibrio tra esigenze di controllo della spesa farmaceutica e tutela del diritto dei medici, chiamati ad effettuare scelte terapeutiche in ‘scienza e coscienza’, libere da ogni condizionamento e rispondenti prioritariamente alla tutela della salute e della sicurezza del paziente. Appare, infatti, sempre più probabile il rischio di condizionamenti gravanti sui clinici in favore dell’adozione di terapie meno costose, anche se questo significa abbassare il livello di sicurezza spingendosi, persino, a preferire terapie off-label rispetto a quelle on-label disponibili sul mercato.
A fronte di prassi mediche di tal genere, solo la politica del diritto del legislatore e degli enti (Ema e Aifa) deputati a mantenere prioritariamente un elevato grado di tutela della salute può garantire il ragionevole equilibrio tra diritti, valori e interessi in campo.
Con riferimento specifico alla vicenda relativa all’uso off-label di Avastin e di quello on-label di Lucentis, si pongono questioni di particolare complessità che chiamano in causa la necessità di affiancare alla valutazione di equivalenza sotto il profilo medico-scientifico anche una valutazione di tipo economico-finanziario. Così è stato stabilito dalla recentissima sentenza della Corte costituzione del 19 maggio 2014, n. 15134.
Da un lato il delicato equilibrio tra tutela della salute e sostenibilità del sistema sanitario parrebbe venir meno a causa di una prassi medica che, in luogo di essere disincentivata viene, al contrario, alimentata dal provvedimento dell’Agcm. Non reputando rilevanti i dubbi di sicurezza che, tuttavia, permangono relativamente all’uso della preparazione magistrale galenica sterile a base di bevacizumab per uso oftalmologico, anche in considerazione del fatto che le differenze strutturali e l’intervento di un nuovo soggetto responsabile della sua produzione (le prescelte farmacie ospedaliere) condurrebbero ad individuare non un uso off-label di Avastin ma l’impiego di un farmaco completamente diverso da questo, il provvedimento dell’Agcm configura addirittura i due farmaci come farmaci che costituiscono un unico mercato rilevante, con la conseguente applicazione dei divieti antitrust. Per questa via, sembrerebbe sempre più lontana la conciliazione delle dinamiche socioeconomiche con il contesto normativo relativo alla tutela della salute, proprio in un terreno, quello farmaceutico, cui le corti e le autorità garanti antitrust hanno già manifestato di poter raggiungere risultati non sempre coerenti 35. Se, inoltre, questi temi venissero ‘riletti’ alla luce del principio di necessaria ispirazione per le scelte politiche e decisioni giurisprudenziali attuate entro i paesi dell’Unione europea, e cioè il principio di precauzione, i problemi apparirebbero ancor più marcati. La manipolazione di un farmaco comporta, infatti, l’introduzione di nuove ‘incognite’, si pensi alle nuove date di scadenza, alle reazioni per il nuovo metodo di somministrazione, al diverso prezzo, da gestire nella fase di sorveglianza post-market per la quale, peraltro, la casa farmaceutica del prodotto originario non potrebbe più essere ritenuta responsabile, trattandosi di un uso manipolato, diverso da quello voluto, studiato e autorizzato.
Da un altro lato, tuttavia, la scelta dell’Aifa nel 2012 di cancellare l’Avastin dalla lista 648 (rimuovendo la copertura da parte del Ssn della sua prescrizione off-label per la cura della degenerazione maculare senile della retina) si potrebbe tradurre in rilevanti esborsi per i sistemi sanitari regionali, a fronte del maggior costo per iniezione del Lucentis36. In tal caso, la condotta dell’Aifa, correttamente ispirata dall’obiettivo della tutela dei pazienti, ha avuto come risultato paradossale quello di limitare l’accesso a cure essenziali dal momento che, a causa dei vincoli di budget pubblico, un numero elevato di pazienti non ha potuto sottoporsi a cure per la maculopatia o ha dovuto farlo a proprie spese.
A fronte di tale situazione, l’intervento del legislatore, con il d.l. Lorenzin, conferma che la questione della prescrizione dei farmaci off-label è materia che va affrontata nelle sedi istituzionali, con interventi riformatori, poiché si auspica che questa sia la sede più idonea a garantire il più elevato grado di tutela della salute del paziente, priorità di ogni ordinamento europeo, anche a fronte del dovere di tenere in debita considerazione le esigenze di contenimento della spesa pubblica37.
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Note
 1In Francia un recente scandalo coinvolgente il farmaco Mediator (benfluorex) – un derivato della flenfuramina approvato per trattare il diabete, ma prescritto off-label per diete dimagranti causa di complicazioni cardiache, talvolta fatali – è stato la principale causa dell’introduzione di notevoli cambiamenti nel sistema di regolamentazione, tra cui nuove misure finalizzate a regolare in modo restrittivo l’accesso ai farmaci nella fase post-marketing. Cfr Emmerich et al, 2012; si veda anche Mullard A (2011), Mediator scandal rocks French medical community, Lancet, 377: 890-892.
 2Ci si riferisce alla vicenda relativa all’uso off-label del farmaco Avastin passata alle cronache recenti. Vedi Sirena, 2014, p. 18.
 3Corte di giustizia Ue, 29 marzo 2012, C-185/10, Commissione c. Polonia, in GUCE del 29 marzo 2012, annotata da Chiti e Screpanti, 2012, pp 648-649.
 4Tra i tanti vedi: Massimino, 2010, p 1104; Querci, 2009, p 1; Zana, 2008, p 729; Iadecola, 2006, p 9. Fino ad ora la dottrina si è concentrata sui profili di responsabilità del medico per la prescrizione del farmaco off-label, mentre ha dedicato molta meno attenzione ai profili di responsabilità dell’impresa farmaceutica e ai profili concorrenziali.
 5Il decreto contiene disposizioni urgenti in materia di “disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale” (titolo successivamente modificato in “nonché di impiego di medicinali” con l’emendamento 3.505 del 17 aprile 2014 proposto dai relatori Vargiu e Ferranti). Si veda GU Serie Generale, n 67, del 21 marzo 2014.
 6Il principio è espressamente sancito dall’art. 3, c. 1 del d.l. 23/1998, convertito nella l. 94/1998, che recita: “fatto salvo il disposto dei commi 2 e 3, il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della sanità”.
 7In merito all’analisi dell’autorizzazione in commercio si rinvia al successivo paragrafo 3.
 8Si tratta, in ogni caso, di farmaci in merito ai quali devono essere disponibili risultati clinici di seconda fase, come previsto dalla Finanziaria 2008.
 9Legge 8 aprile 1998, n 94, di conversione del d.l. 17 febbraio 1998 n 23 (Legge Di Bella). Sul caso della cura Di Bella, si veda, tra i tanti, Bona e Castelnuovo, 1998, p 6. L’impostazione della legge Di Bella si ritrova anche nella Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano.
10Il d.l. 13 settembre 2012, n. 158, recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, poi convertito nella l. 8 novembre 2012 n. 189, ha introdotto, per la prima volta a livello normativo, disposizioni ad hoc per regolamentare la responsabilità civile e penale di chi esercita la professione sanitaria.
11Più precisamente l’utilizzo off-label di Avastin comporterebbe il pericolo di “gravi reazioni avverse, come emorragie non oculari ed eventi troboembolici arteriosi”. A proposito dei profili di (in)sicurezza di tale uso off-label è molto significativo quanto afferma, molto recentemente (20.03.2014), il direttore generale della Dg-Sanco (Direzione generale della salute e dei consumatori) della Commissione europea, Paola Testori Coggi, su richiesta dalla Direzione generale dell’Aifa, con una missiva in cui vengono ripercorse le azioni regolatorie intraprese dall’Aifa. In merito alla linea di condotta tenuta dall’Aifa, il Direttore ha ritenuto che “l’Aifa abbia agito nel rispetto delle regole e nell’interesse dei pazienti”. E prosegue chiarendo che “nel caso in questione era dovere dell’Aifa prendere atto delle modifiche apportate al Riassunto delle caratteristiche del prodotto di bevacizumab dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), il cui obiettivo era rendere noto ai professionisti sanitari che impiegavano questo farmaco off-label il pericolo di “gravi reazioni avverse relative all’uso intravitreale/intraoculare dell’Avastin, come emorragie non oculari ed eventi troboembolici arteriosi”. La Commissione europea sottolinea che il tema dell’uso “off-label” dei farmaci, ad oggi non regolato nello specifico dalla legislazione europea, è all’attenzione della Commissione che ha in programma “di lanciare nei prossimi mesi uno studio” per meglio comprenderne i diversi aspetti. Si rinvia al sito: http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/commissione-europea-nel-caso-avastin-lucentis-aifa-ha-agito-nell%E2%80%99interesse-dei-pazienti#_ftn1.
12Come spiega il provvedimento dell’Agcm, i farmaci di cui si tratta “sono prodotti biotecnologici il cui meccanismo d’azione consiste nell’intervento interdittivo di un gruppo di proteine operanti come fattori della crescita dei vasi sanguigni (vascular-endothelial growth factor, Vegf), che oltre a ricorrere all’interno dell’occhio risultano pure alla base dei fenomeni patologici quali la formazione di tumori e lo sviluppo di metastasi. Alcune innovative terapie avviate nei primi anni novanta del Novecento hanno pertanto previsto il trattamento di varie forme tumorali con farmaci volti a contrastare il Vegf in combinazione con il trattamento chemioterapico, da cui è conseguita per gli stessi farmaci la denominazione di ‘anti-Vegf’ o ‘anti-angiogenici’” (p 14 del provvedimento dell’Agcm del 27 febbraio 2014).
13Da ultimo, TAR Lazio, ordinanza 18 aprile 2012, n. 1383, Allegan spa c. Aifa.
14Autorità garante della concorrenza e del mercato, provvedimento del 27 febbraio 2014 reperibile on line: http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/4112-i760-provvedimento.html.
15La critica è avanzata dal professor Pietro Sirena in un intervento del 9 aprile 2014, reperibile sull’Osservatorio del diritto civile e commerciale, al sito: http://www.odcc.mulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:150. Nell’intervento si legge che “l’Agcm ha così interpretato il suo ruolo e i suoi compiti in una chiave esorbitante rispetto all’applicazione del classico divieto di intese restrittive della concorrenza, puntando piuttosto a una radicale riscrittura dell’ordine giuridico di un mercato così delicato (e costituzionalmente rilevante) come quello farmaceutico. È peraltro evidente che, al di là delle intenzioni di tale Autorità, ciò determina una sostanziale politicizzazione del suo operato e solleva dubbi costituzionali delicatissimi sul suo ruolo, sia per quanto riguarda l’equilibrio di pesi e contrappesi con gli altri poteri pubblici (a cominciare da quello dell’Ema e dell’Aifa), sia anche per quanto riguarda la sua legittimazione a prendere decisioni che presuppongono generalmente una certa rappresentatività democratica”.
16Il precedente testo dell’art. 3, diretto a favorire l’impiego dei medicinali meno onerosi da parte del Ssn, prevedeva che anche qualora sussistesse altra alternativa terapeutica nell’ambito dei farmaci autorizzati, la nuova indicazione terapeutica per la quale fosse stato avviato l’iter di registrazione poteva essere inserita provvisoriamente nell’elenco di cui alla l. 648/1996 (che include medicinali innovativi in commercio in altri Stati ma non sul territorio nazionale, medicinali ancora non autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e medicinali da impiegare per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata), con conseguente erogazione del farmaco a carico del Ssn, qualora il medicinale risultasse sicuro ed efficace con riferimento all’impiego proposto rispetto a quello autorizzato, sulla base della valutazione della Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa e tenuto conto anche dei risultati delle eventuali sperimentazioni e ricerche, nonché della relativa onerosità del farmaco autorizzato per il Ssn. In tal caso, l’Aifa attivava strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti, poiché l’inserimento provvisorio era disposto in attesa che fossero disponibili i risultati delle sperimentazioni cliniche condotte sul farmaco, e diveniva definitivo previa valutazione positiva della Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa. Cfr art. 3 del d.l. 36/2014 il quale inserisce i commi da 4-bis a 4 quater dopo il comma 4 dell’articolo 1 del d.l. 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648.
17Sono riportate le principali informazioni disponibili sul sito. Cfr http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/l%E2%80%99autorizzazione-all%E2%80%99immissione-commercio.
18Si tratta di una procedura che esamina i risultati ottenuti dalle prove chimicofisiche, biologiche e microbiologiche, farmaceutiche; prove tossicologiche precliniche e sperimentazioni cliniche.
19Negli Stati Uniti, invece, è rilasciata unicamente dalla Food and drug administration (Fda).
20All’Ema spettano, poi, sulla base delle valutazioni del Chmp, eventuali interventi di revisione dell’Aic di un farmaco autorizzato con procedura centralizzata, interventi che possono dipendere dall’emergere di variazioni nel profilo rischio/beneficio e da apposite richieste del Mah.
21Per un approfondimento si rinvia al paragrafo successivo.
22Più precisamente, entro quindici giorni da quando ne ha avuta notizia, il titolare di Aic deve notificare con la massima urgenza qualunque sospetta reazione avversa grave segnalatagli da personale sanitario, struttura sanitaria o di cui, comunque, sia venuto a conoscenza. Cfr Dir 2001/83/CE.
23Per approfondimento si rinvia a Querci, 2014, p 52.
24Occorre segnalare che in caso di danni al paziente derivanti da utilizzo off-label del farmaco, oltre alla responsabilità professionale del medico, è ipotizzabile anche una responsabilità concorrente dell’impresa farmaceutica poiché si potrebbero ritenere applicabili all’impresa, in via analogica, gli stessi criteri di determinazione della responsabilità adottati in caso di danno al paziente sottoposto a sperimentazione clinica. Cfr Trib Napoli, sez II, n 8237/2001. Si tratta dell’ennesimo caso a dimostrazione del modo in cui, attraverso la regola di responsabilità per la tutela della persona ex-post, il sistema incentivi sempre più un ruolo proattivo da parte delle imprese farmaceutiche. Sul ruolo proattivo delle imprese farmaceutiche vedi le considerazioni di Guerra, 2011, p 253.
25Il tema è già stato sottoposto al vaglio della Cassazione, cfr Cass Civ, 30 settembre 2008, sez IV, n 37077. In un caso la Corte ha ravvisato gli estremi per configurare la responsabilità del medico responsabile della somministrazione con fini anoressanti di un farmaco antiepilettico nei confronti di una ragazzina di dodici anni affetta da obesità. Come anticipato, il profilo di responsabilità medica connesso all’impiego off-label del farmaco non è oggetto specifico del presente scritto; pertanto si rinvia a Massimino, 2010, p 1104; Benci, 2007; Caravita, 2008.
26Nella vicenda Avastin-Lucentis, la prassi clinica volta all’utilizzo off-label di Avastin ha rappresentato un elemento particolarmente evidente. Non bisogna dimenticare, peraltro, che la pressione sul personale medico per un contenimento della spesa farmaceutica laddove possibile è sempre più pressante.
27In base agli artt. 101 e ss della direttiva 2001/83/CE e artt. 21 e ss del reg. n. 726/2004/CE, il titolare dell’Aic, oltre che all’Ema, deve essere parte attiva nella raccolta di ogni evento avverso, anche in riferimento agli off-label. Il risk management plan e la comunicazione relativa alla sicurezza del prodotto (la cd ‘Dear health care professional’ – DHCP) ad esempio, sono strumenti che concretizzano le misure che le case farmaceutiche titolari di Aic devono attuare.
28Corte di giustizia Ue, 11 aprile 2013, C-535/1. Il caso riguardava l’azione di una nota casa farmaceutica contro un’officina farmaceutica in Germania, volta a sostenere che anche l’attività di riempimento di siringhe con dosi non modificate della sostanza farmaceutica necessitasse di autorizzazione. Nel caso di specie, la Corte ha colto l’occasione per affermare che tali attività produttive “sono esenti dall’obbligo di ottenere un’Aic, a condizione che non determinino una modifica del prodotto medicinale di cui trattasi e siano effettuate unicamente sulla base di ricette individuali che prescrivono ricette di tale genere...”.
29Pagina 7 del parere. Il parere è disponibile sul sito: http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=5181813.pdf. L’atteso parere afferma che sulla base dei dati clinici “attualmente valutabili, i farmaci Lucentis e Avastin, pur nella diversità strutturale e farmacologica delle molecole, non presentano differenze statisticamente significative dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza nella terapia della degenerazione senile”. Tuttavia, lo stesso parere, differenziando anche nominalmente, con l’espressione “preparazione galenica magistrale a base di bevacizumab”, il farmaco Avastin dal preparato farmaceutico concretamente utilizzato per le patologie della vista, di fatto conferma che si tratta di un farmaco diverso dall’Avastin. Tant’è vero che si raccomanda l’adozione di specifiche precauzioni: l’autorizzazione al suo utilizzo solo in determinatati centri pubblici di eccellenza; l’immediata adozione da parte di Aifa di idonei strumenti di monitoraggio.
30Così raccomanda il parere del Consiglio superiore della sanità. Si rinvia anche a Todaro, 2014.
31La nozione di ‘mercato rilevante’ è espressa nella comunicazione della Commissione sulla definizione di mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza, in GU, C 372, 9 dicembre 1997.
32Le imprese soggette ad un regime concorrenziale devono rispettare due vincoli principali: la sostituibilità sul versante della domanda e la sostituibilità sul versante dell’offerta. Un mercato è competitivo se i consumatori possono scegliere fra una gamma di prodotti con caratteristiche simili e se il fornitore non incontra ostacoli a fornire prodotti o servizi su un dato mercato. Il criterio della sostituibilità permette di concentrare la ricerca su qualunque prodotto sostitutivo, riuscendo quindi a definire il mercato rilevante del prodotto e il mercato geografico con un maggior grado di certezza. Soltanto nella fase finale si analizza il mercato rilevante per stabilire il livello di integrazione dei mercati dell’Unione europea (Ue). Quindi la Commissione compie una valutazione della sostituibilità sul versante della domanda (cioè dei consumatori) e della sostituibilità sul versante dell’offerta (cioè dei fornitori). Nel primo caso, si deve vedere se i consumatori del prodotto in questione possono passare prontamente ad un prodotto simile in risposta ad un piccolo, ma permanente, aumento di prezzo (tra il 5% e il 10% controllare % o per mille). Nel secondo caso, si deve vedere se altri fornitori possono prontamente modificare il loro processo produttivo in modo da fabbricare i prodotti in causa e immetterli sul mercato rilevante. Si rinvia al sito ufficiale dell’Ue: http://europa.eu/legislation_summaries/competition/firms/l26073_it.htm
33Frata et al, 2007, p 858.
34La sentenza è stata depositata il 29 maggio 2014.
35Si rinvia alle considerazioni di Frata et al (2007), cit.
36Il Lucentis costa mediamente 700 euro rispetto ai 70 euro dell’Avastin off-label. I costi indicati, calcolati secondo il criterio della ‘materia prima’, sono riportati da Messori e De Rosa (2014), che tuttavia avvertono che la quantificazione della spesa effettiva, legata alle due alternative, è una questione piuttosto complessa, che richiede un’attenta valutazione delle modalità terapeutiche e dei benefici derivanti dalla terapia.
37Si segnala peraltro, che, con riferimento alle scelte prescrittive del medico, la giurisprudenza di legittimità, antecedente alla sentenza della Consulta 151/2014, aveva, invece, affermato chiaramente che il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge e alle conseguenti relative responsabilità” (Cassazione Penale sent. n. 8254/2010 e Cassazione Penale sez. IV n. 35922/2012). Anche a livello europeo l’orientamento pare differire da quanto indicato dalla sentenza della Corte costituzionale 151/2014: nel 2012 la Corte di Giustizia europea ha già sancito l’illegittimità di normative che subordinino l’obbligo di approvazione dei medicinali o delle loro indicazioni ad obiettivi di risparmio, laddove afferma che una deroga ai requisiti regolatori è ammissibile soltanto a fronte di esigenze di cura specifiche ed oggettive, e non anche per soddisfare finalità di ordine finanziario. Cfr. Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 29 marzo 2012, causa C-185/10, Commissione c. Polonia.