L’Unione europea e i diritti delle persone con disabilità: brevi riflessioni a vent’anni dalla prima ‘Strategia
Delia Ferri
Maynooth University Department of Law, Ireland

Riassunto. L’Unione europea ha iniziato a occuparsi di disabilità a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, ma solo in maniera marginale, e principalmente mediante strumenti non vincolanti. Quando, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l’allora Comunità ha però acquisito il potere di adottare misure volte a combattere le discriminazioni inter alia sulla base della disabilità, le politiche europee hanno assunto maggiore incisività. La ratifica della ‘Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità’ ha spinto l’Ue ad includere la tutela e promozione dei diritti delle persone con disabilità tra le sue priorità politiche.
Dopo aver dato sinteticamente conto dell’evoluzione storica delle politiche in materia di disabilità, questo breve contributo si sofferma sulla Convenzione Onu, sui suoi effetti all’interno del diritto dell’Ue alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, e sui più recenti sviluppi dell’azione europea a tutela dei diritti delle persone con disabilità.

Parole chiave. Accessibilità, disabilità, non-discriminazione, Onu, Unione europea.


Abstract. The origin of the European union disability policy can be traced back to the second half of the Seventies. However, at that time the European action was limited and primarily carried out through non-binding instruments. When, with the entry into force of the Amsterdam Treaty, the former Community has, however, acquired the power to adopt measures to combat discrimination inter alia on grounds of disability, European policies have become more effective. The ratification of the ‘UN Convention on the rights of persons with disabilities’ has prompted the Eu to include the protection and promotion of the rights of persons with disabilities among its policy priorities.
After giving a succinct account of this historical evolution of Eu disability policies, this brief contribution focuses on the UN Convention, on its effects within the Eu law in the light of the Court of Justice of the Eu case law, and on the more recent developments in the European action to protect the rights of persons with disabilities.

Key words. Accessibility, disability, European union, non-discrimination, UN.

1. L’azione europea in materia di disabilità: dagli esordi al Trattato di Lisbona
La Comunità europea (oggi, ovviamente, Unione europea; d’ora in avanti Ue) ha iniziato a occuparsi di disabilità a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. In un primo momento, peraltro, l’azione comunitaria si presentava come marginale e aveva luogo principalmente mediante strumenti non vincolanti o finalizzati allo scambio di informazioni tra Stati membri1. I diritti delle persone con disabilità erano infatti estranei al contesto normativo europeo e i trattati allora vigenti non contenevano alcuna menzione della disabilità. La prima risoluzione del Consiglio che raccomandava l’elaborazione di un Programma di azione per l’integrazione occupazionale e sociale delle persone portatrici di handicap2 risale al 1974. Sulla scorta di tale prima risoluzione, e fino agli inizi degli anni ’90, furono sviluppati quattro programmi di azione principalmente volti a supportare gli Stati membri nel facilitare l’inserimento lavorativo e la formazione professionale delle persone con disabilità.
Il 1996, con l’approvazione della Strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili3, segna la prima vera svolta nell’azione europea. Tale Strategia, pur essendo un documento non vincolante, rappresenta il primo riconoscimento della disabilità come ambito della policy europea e la prima vera affermazione della necessità di tutelare i diritti delle persone con disabilità tramite una serie di azioni integrate e coordinate tra loro. La Strategia in questione si proponeva “un più forte impegno a identificare e rimuovere i vari ostacoli che si frappongono alla parità di opportunità e alla piena partecipazione a tutti gli aspetti della vita”4, e si connotava per un cambiamento di prospettiva ispirato dalle Norme standard per le pari opportunità delle persone con disabilità5 (approvate dalle Nazioni unite nel 1993) e dall’affermarsi del cosiddetto “modello sociale della disabilità”6, che concepisce la disabilità come conseguenza di fattori sociali e non come conseguenza della menomazione del singolo.
Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, nel 1999, l’allora Comunità acquisisce il potere di adottare misure volte a combattere le discriminazioni inter alia sulla base della disabilità (articolo 13 TCE, ora articolo 19 TFUE). Inoltre, a margine del trattato viene approvata una dichiarazione allegata all’articolo 95 TCE (oggi articolo 114 TFUE), secondo la quale nell’elaborazione di misure per l’armonizzazione del mercato interno si deve tener conto “delle esigenze delle persone con disabilità”. Sebbene non vincolante, questa dichiarazione ha contribuito allo sviluppo di misure a tutela dei diritti dei disabili. Infatti, negli anni successivi al 2000, numerosi atti legislativi, in materia di telecomunicazioni 7, trasporti8, ascensori9, appalti pubblici10, fondi strutturali11, hanno incluso disposizioni in materia di disabilità, spesso volte a garantire l’accessibilità di determinati prodotti e servizi. Ad oggi, l’atto legislativo più importante rimane però la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di impiego, che costituisce il primo vero intervento legislativo volto a garantire il diritto al lavoro delle persone con disabilità. Oltre a vietare la discriminazione (tanto diretta quanto indiretta) e le molestie in ragione della disabilità, della religione o convinzione personale professata, dell’età o dell’orientamento sessuale, la Direttiva impone ai datori di lavoro l’adozione di accomodamenti ragionevoli. In particolare, la disposizione di cui all’art. 5 afferma che il datore di lavoro deve adottare “provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”. La norma chiarisce anche che l’onere non potrà considerarsi sproporzionato se e nella misura in cui sia “compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro”.
Nel 2000, il Consiglio europeo di Nizza approva la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che include due disposizioni specificamente attinenti alla disabilità. L’articolo 21 afferma il principio di non discriminazione, mentre l’articolo 26 stabilisce che l’Ue “riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”.
A livello di policy, al termine del 2003, proclamato Anno europeo delle persone con disabilità12, veniva approvato il nuovo Piano di azione europeo sulla disabilità (2004-2010)13, che si proponeva di completare l’attuazione della direttiva sulla parità di trattamento in tema di occupazione, di rafforzare l’integrazione delle questioni legate alla disabilità in diversi ambiti delle politiche comunitarie (mainstreaming) e di migliorare l’accessibilità14.
Nel 2009, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha determinato un rafforzamento delle competenze dell’Ue in materia di disabilità, anche se solo indirettamente. Pur lasciando invariato il testo dell’articolo 19 TFUE (già articolo 13 TCE) nella parte in cui sancisce la competenza dell’Unione a “combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”, modifica la parte attinente la procedura legislativa necessaria ad adottare tali misure. Ad essere cambiato è il ruolo del Parlamento europeo. Nel testo previgente il Consiglio decideva previa mera consultazione del Parlamento, mentre il Trattato di Lisbona prevede l’uso della procedura legislativa ordinaria, secondo la quale il Consiglio necessita della previa approvazione del Parlamento. Il Trattato di Lisbona inoltre ha introdotto la cosiddetta clausola orizzontale di non discriminazione, all’interno dell’articolo 10 TFUE. Quest’ultima è volta a integrare la lotta contro le discriminazioni in tutte le politiche e le azioni dell’Unione. Tale disposizione non solo rappresenta il secondo esplicito riferimento alla disabilità nel TFUE, ma impone anche un “obbligo di mainstreaming”. Infine, come è noto, il Trattato di Lisbona ha determinato anche un cambiamento sostanziale circa lo status della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: le è stato attribuito lo stesso valore giuridico (vincolante) dei trattati, rendendola così fonte di diritto primario.
2. La ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e i suoi effetti nell’ordinamento europeo
Il 13 dicembre 2006 l’Assemblea generale dell’Onu ha adottato la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità (d’ora in avanti, semplicemente Convenzione Onu). Tale Convenzione, fortemente ispirata al già citato modello sociale, riconduce la condizione di disabilità all’esistenza di barriere ambientali e sociali e impone agli Stati parte di eliminare tali ostacoli. Dignità, autonomia individuale, eguaglianza, accessibilità, inclusione nella società e accettazione della disabilità come parte della diversità umana sono i principi-cardine attorno a cui ruota il testo convenzionale, che rilegge i classici diritti umani alla luce della disabilità 15.
L’Unione europea, dopo aver partecipato attivamente alla fase di negoziazione, firma la UNCRPD nel 2007. La ratifica viene completata quasi tre anni dopo16 e rappresenta un’ulteriore e definitiva svolta dell’Ue verso politiche per la disabilità ampie ed incisive.
A seguito della ratifica, la Convenzione è diventata parte integrante del diritto dell’Ue e ha assunto rango ‘sub-costituzionale’. In forza dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, infatti, allorché l’Unione europea conclude accordi internazionali, questi ultimi vincolano le sue istituzioni e, di conseguenza, prevalgono sugli atti dell’Unione stessa. Essi infatti assumono il rango di fonte intermedia, superiore al diritto derivato dell’Unione, ma inferiore rispetto ai Trattati (TUE e TFUE). Nella sentenza Z c. A Government department17, la Corte di giustizia dell’Unione europea (d’ora in poi CGUE) ha però affermato che la UNCRPD, pur essendo parte integrante del diritto dell’Unione europea, non ha efficacia diretta18. La Convenzione, infatti, presenta un carattere programmatico, poiché le sue disposizioni sono subordinate all’intervento di atti ulteriori che competono alle parti contraenti. Pertanto, esse non sono, dal punto di vista del contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, mancando dunque dei requisiti richiesti per determinare effetti diretti nel diritto dell’Unione europea19.
La Convenzione dispiega tuttavia effetti interpretativi, visto che il diritto secondario (in particolare, regolamenti e direttive) va interpretato in maniera conforme alle norme della UNCRPD, come la CGUE ha affermato per la prima volta nel caso ‘Ring e Werge’20. Fino ad oggi le questioni interpretative di maggior rilievo sono sorte con riguardo alla Direttiva 2000/78/CE e, in particolare, alla nozione di disabilità che la Direttiva abbraccia. Il caso Ring and Werge si riferisce alle cause riunite di due lavoratrici danesi (appunto, Ring e Skoubo e Werge), entrambe licenziate a seguito delle numerose assenze dal lavoro per malattia. Le ricorrenti, sulla base dell’asserita disabilità, sostenevano invece che il datore di lavoro avesse l’obbligo di offrire loro un orario di lavoro ridotto a titolo di accomodamento ragionevole, in applicazione dell’articolo 5 della Direttiva 2000/78/CE. In entrambi i procedimenti, i resistenti si difendevano negando che le condizioni di salute delle due donne rientrassero nella definizione di disabilità prevista dalla Direttiva. Il giudice a quo interrompeva i procedimenti e faceva rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendo se e a quali condizioni una malattia potesse rientrare nella nozione di disabilità. La CGUE ha quindi affermato che la definizione di disabilità da utilizzare nell’interpretazione dell’ambito di applicazione della Direttiva sulla parità di trattamento deve essere conforme al testo della Convenzione Onu. Dopo il caso Ring e Werge, come già discusso in altra sede 21, la CGUE ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sulla questione in diverse altre occasioni, nelle quali, non senza oscillazioni, è rimasta sostanzialmente fedele alla posizione adottata. Senza pretesa di completezza22 si cita qui la sentenza Commissione c. Italia23. La decisione interviene a seguito del ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione nei confronti dell’Italia per incompleta trasposizione dell’articolo 5 delle Direttiva 2000/78. La Corte sostanzialmente ritiene le cesure della Commissione fondate e, nell’esame della questione, ribadisce che il concetto di ‘disabilità’, pur non essendo definito nella Direttiva 2000/78/CE, deve essere interpretato alla luce della Convenzione Onu e che di conseguenza anche le legislazioni nazionali devono approntare una definizione ad essa conforme.
3. La nuova ‘disability roadmap’ dell’Unione europea: la Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 e le proposte legislative in materia di accessibilità e non discriminazione
Quasi contemporaneamente alla ratifica della Convenzione Onu, è stata adottata dalla Commissione la Strategia europea sulla disabilità 2010-202024. Il titolo evoca esplicitamente la precedente Strategia del 1996 e si pone in netta continuità concettuale con quest’ultima, in quanto mira a “mettere le persone con disabilità in condizione di esercitare tutti i loro diritti e di beneficiare di una piena partecipazione alla società e all’economia europea”25. Infatti, questa nuova Strategia, come già la precedente, appare fortemente influenzata dal modello sociale e ha quale perno concettuale e programmatico l’eliminazione delle barriere alla partecipazione dei disabili alla vita sociale, culturale ed economica. In questo caso però la Strategia 2010-2020 si basa esplicitamente sulla Convenzione Onu e integra i principi di quest’ultima con gli obiettivi del più ampio piano ‘Europa 2020’ 26, a sua volta teso a promuovere una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”.
Il principale elemento di novità sta nell’individuazione di otto specifiche aree in cui l’Unione europea si propone di agire in maniera congiunta agli Stati membri: accessibilità, partecipazione, uguaglianza, occupazione, istruzione e formazione, protezione sociale e salute. L’individuazione di tali aree, definite in base all’analisi dei risultati del precedente Piano d’azione dell’Ue a favore delle persone disabili (2003-2010) e di consultazioni tenutesi con gli Stati membri, appare fortemente influenzato dalla Convenzione Onu. In effetti, la Strategia fa riferimento in più punti alla Convenzione e intende contribuire ad assicurare il monitoraggio dell’attuazione della Convenzione medesima all’interno degli Stati membri e in seno alle istituzioni europee. Con particolare riferimento al monitoraggio, va anche sottolineato come la Strategia attribuisca alla Commissione il compito di riorganizzare le informazioni raccolte mediante le varie inchieste sociali dell’Ue, di elaborare un’inchiesta specifica sulle barriere all’integrazione sociale delle persone con disabilità e di presentare una serie di indicatori per seguire l’evoluzione della situazione rispetto agli obiettivi chiave della ‘Strategia Europa 2020’, oltre che di completare e sostenere la raccolta di dati da parte degli Stati membri.
La Strategia individua determinati interventi, sia a livello di policy che a livello legislativo, per ognuna delle otto aree. In particolare, tra le varie iniziative legislative, la Strategia prevede l’adozione del cosiddetto European Accessibility Act (Atto europeo sull’accessibilità)27: si tratta di uno strumento normativo in grado di incrementare l’accessibilità di beni e servizi nel mercato interno e di porre rimedio alle attuali lacune del mercato europeo in materia. A tal fine, l’Atto si propone di armonizzare i requisiti di accessibilità delle legislazioni interne degli Stati membri, stimolare l’innovazione nel campo dell’accessibilità attraverso lo sviluppo e l’utilizzo di criteri standard europei, implementare l’effettività della legislazione esistente in materia, incentivare il mercato di beni e servizi accessibili tramite l’aumento di appalti pubblici dedicati, favorire la disponibilità nel mercato di merci e servizi accessibili e accrescere la concorrenza fra industrie del settore. Dopo una lunga e tormentata gestazione, e molto più tardi di quanto previsto, la proposta di Atto europeo sull’accessibilità (dal punto di vista formale si tratterà in realtà di una direttiva) è stata presentata nel dicembre 201528. La proposta contiene una serie di obblighi di accessibilità per i produttori e i distributori di determinati beni e servizi. L’ambito di applicazione dell’attuale proposta sarà però più limitato di quanto previsto inizialmente: essa coprirà solo alcuni servizi (tra i quali sportelli bancomat e i servizi bancari, personal computer, telefoni e apparecchi televisivi, i servizi telefonici e audiovisivi, trasporti, libri elettronici (e-book) e i servizi di commercio elettronico). Resta da vedere se e quando questo testo verrà approvato da Consiglio e Parlamento europeo e se emendamenti interverranno a modificare la proposta attuale. Finalizzata a precedere e completare il contenuto dell’Atto europeo sull’accessibilità, è la Proposta di direttiva relativa all’accessibilità dei siti web degli enti pubblici29. Anche tale proposta, che si propone di armonizzare disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all’accessibilità dei siti web degli enti pubblici, è ancora al vaglio degli organi legislativi e non è chiaro se e quando verrà approvata.
La Strategia aveva inoltre previsto l’approvazione di una nuova direttiva in materia di non-discriminazione. In realtà la proposta risale al 200830, e aveva l’obiettivo di completare il quadro normativo, ampliando l’ambito di applicazione della normativa anti-discriminatoria attraverso l’attuazione del principio di parità di trattamento indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall’età e dall’orientamento sessuale, anche al di fuori del mercato del lavoro (si pensi a settori quali la protezione sociale – comprese la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria, le prestazioni sociali – l’istruzione, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura, alloggi inclusi). Senza entrare nel dettaglio, ai fini di questa breve trattazione è opportuno mettere in rilievo come la proposta mostri un approccio più ambizioso rispetto ai testi vigenti per quanto riguarda il divieto di discriminazione fondata sulla disabilità e come essa tragga diretta ispirazione dal testo della Convenzione Onu. Tuttavia, a oggi, la proposta di direttiva è ancora oggetto di discussione in sede di Consiglio, e non è chiaro se e quando essa verrà approvata 31.
4. Conclusioni: il 2016 quale anno di bilanci?
A vent’anni dall’adozione della prima Strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, l’Unione europea sembra aver fatto notevoli passi avanti nella tutela dei diritti delle persone con disabilità, e pare aver messo in atto una vera e propria cross-cutting policy. L’azione Ue in materia di disabilità coinvolge ormai tutti i campi del diritto dell’Unione. Tuttavia la ‘Strategia 2010-2020’, che sopra ho discusso, si propone obiettivi ambiziosi, in linea con gli obblighi internazionali sottoscritti dall’Unione con la ratifica della Convenzione Onu, e è stata in parte disattesa, tanto è vero che le principali iniziative legislative previste (ovvero l’Atto europeo sull’accessibilità e la nuova direttiva antidiscriminazione) sono ancora lontane dall’essere approvate. Lo stesso Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità nell’esaminare il rapporto iniziale dell’Unione europea sull’implementazione della Convenzione si dice preoccupato che l’Unione europea non sia ad oggi riuscita a condurre una revisione completa della sua normativa e ad armonizzarla con la Convenzione, e raccomanda l’accelerazione della procedura di adozione della nuova direttiva antidiscriminatoria, nonché della legislazione in materia di accessibilità.
Va anche sottolineato che, a più di cinque anni dal lancio, la Commissione ha deciso di valutare l’impatto della Strategia 2010-2020 e delle misure attuate fino ad ora attraverso una consultazione pubblica. La consultazione, chiusasi nel marzo 2016, ha permesso di raccogliere opinioni e pareri sui risultati conseguiti a medio termine, ma anche su quali nuove azioni l’Ue dovrebbe intraprendere nei prossimi anni. I risultati della consultazione non sono ancora disponibili, ma è chiaro che il 2016 rappresenta e rappresenterà un anno di bilanci per l’Unione e un momento in cui aprire una riflessione su quali misure implementare in via prioritaria nel secondo quinquennio della Strategia.
Note
 1Waddington L, Diller M, Tensions and coherence in disability policy: the uneasy relationship between social welfare and civil rights models of disability in American, European and international employment law, Disability rights law and policy, Ardsley, Transnational Publishers, 2002, pp 241-244.
 2Priestley M, In search of European disability policy: between national and global, ALTER - Revue européenne de recherche sur le handicap, fasc 1, 2007, pp 61-74.
 3Comunicazione della Commissione sulla parità di opportunità per i disabili, Una nuova strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, Bruxelles, 30 luglio 1996, COM(96)406 def.
 4Comunicazione della Commissione sulla parità di trattamento di opportunità per i disabili, Una nuova strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, Bruxelles, 30 luglio 1996, COM(96)406 def., Sintesi e conclusioni strategiche, p 1.
 5Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, n. 48/96 del 20 dicembre 1993.
 6Sul modello sociale si veda ex multis Barnes C, Capire ‘il modello sociale della disabilità’ (trad. it. di AD Marra), in Intersticios. Revista Sociológica de Pensamiento Crítico, vol 2, 1, 2008 al sito http://www.intersticios.es/article/viewFile/2382/1893.
 7Direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità, GU L 91 del 7 aprile 1999. Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), GU L 108 del 24 aprile 2002. Direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), GU L 108 del 24 aprile 2002. Direttiva 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, GU L 15 del 21 gennaio 1998, modificata dalla direttiva 2002/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 giugno 2002, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda l’ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali della Comunità, GU L 176 del 5 luglio 2002 e modificata dalla direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari, GU L 52 del 27 febbraio 2008.
 8Direttiva 2001/85/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2001, relativa alle disposizioni speciali da applicare ai veicoli adibiti al trasporto passeggeri aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e recante modifica delle direttive 70/156/CEE e 97/27/CE, GU L 42 del 13 febbraio 2002. Direttiva 96/48/CE del Consiglio, del 23 luglio 1996, relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità, GU L 235 del 17 settembre 1996, modificata dalla direttiva 2004/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L 164 del 30 aprile 2004. Direttiva 2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale, GU L 110 del 20 aprile 2001, modificata dalla direttiva 2004/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L 164 del 30 aprile 2004. Direttiva 2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna e che abroga la direttiva 82/714/CEE del Consiglio, GU L 389 del 30 dicembre 2006. Direttiva 2003/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 aprile 2003, che modifica la direttiva 98/18/CE del Consiglio relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri, GU L 123 del 17 maggio 2003. Direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (direttiva quadro), GU L 263 del 9 ottobre 2007. Decisione 2008/164/CE della Commissione, del 21 dicembre 2007, relativa ad una specifica tecnica di interoperabilità concernente le persone a mobilità ridotta nel sistema ferroviario transeuropeo convenzionale e ad alta velocità, GU L 64 del 7 marzo 2008.
 9Direttiva 95/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 1995, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori, GU L 213 del 7 settembre 1995, modificata dalla direttiva 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE, GU L 157 del 9 giugno 2006.
10Direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, GU L 134 del 30 aprile 2004. Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, GU L 134 del 30 aprile 2004. Direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, GU L 76 del 23 marzo 1992, modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, GU L 335 del 20 dicembre 2007. Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, GU L 395 del 30 dicembre 1989, modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che riforma le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici, GU L 335 del 20 dicembre 2007.
11Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n 1260/1999, GU L 210 del 31 luglio 2006.
12Decisione del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa all’anno europeo dei disabili 2003.
13Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni - Pari opportunità per le persone con disabilità: un piano d’azione europeo, 30 ottobre 2003, COM(2003) 650 final.
14Per un’analisi delle politiche europee si veda Waldschmidt A, Disability policy of the European union: the supranational level, ALTER - Revue européenne de recherche sur le handicap, fasc 3, 2009, pp 8-23.
15Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite n. 61/106 del 13 dicembre 2006. Sulla Convenzione vedi tra i molti Seatzu F, La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili: i principi fondamentali, 2008, 3 Diritti umani e diritto internazionale, pp 534-559; Marchisio S, Della Fina V, Cera R, La Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità: commentario, Aracne, 2010, XIII.
16La ratifica è avvenuta con la Decisione del Consiglio 2010/48/EC del 26 novembre 2009, ma il deposito della ratifica presso le Nazioni unite è avvenuto solo il 23 dicembre 2010.
17Sentenza del 18 marzo 2014, C-363/12, Z, non ancora pubblicata in Racc.
18Ibidem, paragrafi 88-90.
19La nozione di efficacia diretta è stata introdotta dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 5 febbraio 1963 C-26/62, Van Gend en Loos, in Racc, p 3.
20Sentenza dell’11 aprile 2013, cause riunite C-335/11 e C-337/11, Ring e Skouboe Werge, in Racc digitale, aprile 2013.
21Sia consentito rinviare a Ferri D e Favalli S, Defining disability in the EU non-discrimination legislation: judicial activism and legislative restraints, European Public Law, 2016, in corso di stampa.
22Si rimanda a Venchiarutti A, Sistemi multilivello delle fonti e divieto di discriminazione per disabilità in ambito europeo, La nuova giurisprudenza civile commentata, vol 9, 2014, pp 409-419. Ferri D, Favalli S (2016), Tracing the boundaries between disability and sickness in the European union: squaring the circle?, European Journal of Health Law, 23 (1): 5-35.
23Sentenza del 4 luglio 2013, Commissione c. Italia, C-312/11, in Racc digitale, luglio 2013. A commento si vedano ex pluribus: Cinelli M, Insufficiente per la Corte di Giustizia la tutela che l’Italia assicura al lavoratori disabili: una condanna realmente meritata?, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, vol 4, 2013, pp 935-938; Milizia G, L’UE condanna l’Italia per la disparità di trattamento dei disabili sul lavoro, Diritto & Giustizia, 2013, pp 1001-1003; Danisi C, Disabilità, lavoro e ‘soluzioni ragionevoli’: l’inadempimento dell’Italia alla Corte di Giustizia, Quaderni Costituzionali, vol 4, 2014, pp 1005-1008; Marasca M, La Corte di Giustizia boccia l’Italia: verso i disabili un ‘irragionevole’ trattamento sul luogo di lavoro, Rivista del Diritto e della Sicurezza Sociale, vol 3, 2013, pp 629-638.
24Sulla strategia si veda Hosking D, Staying the course: the European disability strategy 2010-2020, Waddington L, Quinn G, Flynn E (a cura di), European Yearbook of Disability Law, 4 (2013).
25Comunicazione della Commissione del 15 novembre 2010, Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un’Europa senza barriere, SEC(2010) 1324 fin.
26Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010, ‘Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva’, COM(2010) 2020 def.
27Ahtonen A, Pardo R, The Accessibility Act - Using the single market to promote fundamental rights, European Policy Center, 12 marzo 2013, disponibile online a questo indirizzo: http://www.epc.eu/pub_details.php?pub_id=3393.
28COM(2015) 615 final: Vedi anche http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6147_en.htm
29Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’accessibilità dei siti web degli enti pubblici COM/2012/0721 final - 2012/0340 (COD).
30Proposta di direttiva del Consiglio, del 2 luglio 2008, recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, COM (2008) 426 definitivo.
31Sulla proposta si veda Waddington L, Future prospects for EU equality law: lessons to be learnt from the proposed equal treatment directive, European Law Review, vol 36, fasc 2, 2011, pp 163-184.