Ricerca traslazionale: vigilato speciale

Luciana Ballini

Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna

Non c’è rivista di ricerca clinica e sanitaria che non abbia pubblicato e pubblichi regolarmente articoli, studi, editoriali e commenti che sottolineano la mancanza di una stretta relazione tra decisioni cliniche e sanitarie e ricerca. È naturale quindi che Politiche sanitarie sia altrettanto attenta a questo argomento, al quale ha deciso di dedicare una rubrica oltre allo spazio tradizionale che ospita gli studi originali. I temi di volta in volta trattati saranno molteplici come molteplici sono i contributi, i metodi e le sollecitazioni che questo problema stimola.
Nel dibattito che riflette la diffusa aspettativa che le decisioni importanti siano sempre informate dalla migliore e più aggiornata conoscenza, l’attribuzione delle responsabilità appare equamente distribuita tra la ricerca – perché incapace di informare le decisioni – e la pratica, in quanto incapace di utilizzare la ricerca. Oltre a dare voce a una aspettativa insoddisfatta, il dibattito ci richiama soprattutto ad una realtà allarmante, se è corretta la stima di una media di 17 anni per l’introduzione nella pratica clinica del 14% delle nuove scoperte scientifiche (Westfall et al, 2007). Gli argomenti a favore della necessità di convergere sforzi – sia accademici sia istituzionali –  tesi al trasferimento dei risultati della ricerca agli ambiti decisionali clinici e sanitari sono stati discussi anche durante la Clinical Research Roundtable del 2000 all’Institute of Medicine e riassunti in un articolo pubblicato su JAMA nel 2003 (Sung et al, 2003). L’immagine di una autostrada interrotta da due ‘posti di blocco’ viene utilizzata per descrivere e analizzare ciò che interrompe il percorso ideale secondo il quale la ricerca biomedica di base dovrebbe portare al miglioramento della salute. Il primo blocco rallenta e ostacola la traduzione delle scoperte su cause e meccanismi delle malattie in ricerca clinica in grado di sviluppare nuovi strumenti diagnostici e terapeutici. Tra le principali cause di questo blocco vengono individuate le difficoltà al reclutamento di pazienti e luoghi di cura negli studi, le norme regolatorie, l’eccessiva frammentazione delle infrastrutture, l’incompatibilità dei sistemi informativi, la mancanza di database comuni e il numero insufficiente di ricercatori qualificati. Al secondo blocco vengono invece attribuiti gli ostacoli al trasferimento dei risultati della ricerca clinica alla pratica e politica assistenziali, dovute principalmente alla mancanza di incentivi di carriera associati a questo tipo di ricerca, alla difficoltà di condurre ricerca nel contesto della pratica, agli alti costi di questa ricerca e alla mancanza di fondi. Il termine abbastanza recente della translational research, quindi, riprende e sistematizza una problematica che è da tempo oggetto di attenzione, e ha stimolato ulteriormente la discussione e una varietà di proposte e soluzioni che per i due blocchi sono molto diverse tra loro (Lenfant 2003; Davis et al, 2003; Zerhouni 2005; Woolf 2008).
Per affrontare il primo blocco si chiede di migliorare il modo di fare ricerca e quindi la qualità della ricerca. Si sollecita una maggiore attenzione e coinvolgimento da parte di tutte le istituzioni – pubbliche e private – che promuovono, finanziano e controllano la ricerca a far sì che questa sia salvaguardata dai conflitti di interesse e sia collocata in centri collaborativi multidisciplinari per facilitare il contributo di più metodologie e una maggiore interazione tra ricercatori e utilizzatori della ricerca.
Vengono inoltre invocati maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione degli organi istituzionali chiamati a promuovere sistemi di assegnazione di fondi che privilegino la rilevanza dei quesiti di ricerca e incentivino il diffondersi di metodologie di ricerca volte a ottimizzare la validità esterna dei risultati (practice-based research, practical/pragmatic trials, etc.) (Westfall et al, 2007; Tunis, 2003).
Mentre le soluzioni proposte per il primo blocco riguardano principalmente la salvaguardia della qualità metodologica e della rilevanza della ricerca, i problemi del secondo blocco sono ancora allo stadio di sviluppo di metodologie valide e robuste. Per affrontare il secondo blocco, infatti, si fa riferimento a filoni di ricerca sviluppatisi di recente, come la ricerca sull’implementazione e sull’evidence-based decision making. La ricerca sull’implementazione è “lo studio scientifico dei metodi che promuovono la sistematica adozione nella pratica clinica dei risultati della ricerca e altre pratiche basate sulle evidenze e, quindi, di migliorare la qualità ed efficacia dei servizi sanitari” (Eccles e Mittman, 2006).  Questa ricerca è frutto di un dibattito di crescente complessità che testimonia il passaggio da un approccio semplicistico al problema del trasferimento della ricerca nella pratica – basato sulla convinzione che fosse sufficiente assicurare una adeguata diffusione di sintesi critiche dei risultati della ricerca – ad un approccio basato sulla consapevolezza dell’influenza e condizionamento esercitati sulle azioni e decisioni cliniche da fattori esterni, economici, sociali, organizzativi e accademici (Lomas, 1993). Dopo essersi dedicata allo studio degli interventi più efficaci nell’indurre il cambiamento nella pratica clinica (Grimshaw, 2004), negli ultimi anni questa ricerca ha diretto i suoi sforzi allo studio dei determinanti – professionali, individuali, organizzativi e istituzionali – delle decisioni assistenziali nel tentativo di formulare ipotesi basate su teorie derivate da discipline diverse e testabili all’interno di sperimentazioni formali. La metodologia di conduzione di questi studi – da realizzare in contesti e condizioni assistenziali quotidiani – è ancora oggetto di dibattito e in fase di sviluppo (Grimshaw et al, 2000; Von Bokhoven et al, 2003; Victora et al, 2004). Anche la questione relativa all’utilizzo della ricerca da parte dei responsabili di politiche sanitarie ha subito una evoluzione verso una maggiore complessità analitica. Inizialmente i motivi dello sporadico utilizzo dei risultati della ricerca da parte dei decisori sono stati ricercati nel divario formativo e culturale di ricercatori e decisori, nella mancata tempestività dei prodotti della ricerca rispetto alle esigenze decisionali, nella limitata familiarità dei decisori con il linguaggio e le metodologie utilizzate, nelle tensioni relative ai rispettivi ruoli e responsabilità (Innvaer et al, 2002; McDonnell et al, 2006).
Negli ultimi tempi (Lavis et al, 2003; Lavis et al, 2004) l’attenzione si è spostata dal problema della trasmissione del messaggio della ricerca ai decisori, al problema della definizione dei contenuti del messaggio della ricerca: la questione è quindi principalmente cosa deve essere trasferito ai decisori e, in seconda battuta, come e con quali risultati. Alla ricerca viene chiesto di saper declinare in quesiti di ricerca non solo i problemi di salute, ma anche come inserire le soluzioni ai quesiti di efficacia e appropriatezza clinica in sistemi complessi spesso caratterizzati da continue tensioni tra diversi interessi, aspettative e obblighi.
Per ottimizzare l’utilizzo della ricerca sia nella pratica clinica che nei servizi e politiche sanitarie si è quindi passati dalla ricerca degli strumenti efficaci di trasferimento allo studio dei determinanti delle decisioni – cliniche e sanitarie – per definire meglio sia il contenuto che la ricerca deve saper offrire che il ruolo che la ricerca può occupare all’interno di complessi processi decisionali.
Di pari passo sono in continuo sviluppo gli strumenti di sintesi delle evidenze scientifiche, quali le linee guida per la pratica clinica e i rapporti di technology assessment – che costituiscono il mezzo più comune di trasmissione dei risultati della ricerca ai decisori. Nel campo delle metodologie i ricercatori sono costantemente impegnati nel miglioramento dei metodi di produzione e di formulazione dei messaggi chiave. Infine, poiché uno dei ruoli ascritti alla ricerca clinica e sanitaria è anche quello di rendere valutabili le decisioni prese e incrementare l’accountability dei servizi sanitari, la ricerca metodologica ci offre un nutrito dibattito sulla metodologia di misurazione, comparazione e valutazione della qualità dell’assistenza.
In conclusione c’è una notevole quantità di ricerca su cui tenersi aggiornati: knowledge translation, knowledge brokering, information transfer, translational research, implementation research, evidence-based decision making, evidence-based policy, quality improvement, outcomes research, e così via.
Attraverso questa rubrica Politiche sanitarie si prospetta di ‘sorvegliare’ la letteratura nazionale e internazionale su tutte queste tematiche, segnalando i contributi di possibile interesse ai propri lettori.
Bibliografia
Davis D, Evans M, Jadad A et al. (2003), The case of knowledge translation: shortening the journey from evidence to effect, BMJ, 327: 33-35.
Eccles MP, Mittman BS (2006), Welcome to Implementation Science, Implementation Science, 1: 1.
Grimshaw J, Campbell M, Eccles M et al. (2002), Experimental and quasi-experimental designs for evaluating guideline implementation strategies, Fam Pract, 17 (suppl 1): S11-S16.
Grimshaw JM, Thomas RE, MacLennan G et al. (2004), Effectiveness and efficiency of guideline dissemination and implementation strategies, Health Technol Assess, 8 (6).
Innvaer S, Vist G, Trommald M, Oxman A (2002), Health policy-makers’ perceptions of their use of evidence: a systematic review, J Health Serv Res Policy, 7: 239-244.
Lavis JN, Robertson D, Woodside JM et al. (2003), How can research organizations more effectively transfer research knowledge to decision makers?, The Milibank Quarterly, 81: 221-248.
Lavis JN, Posada DB, Haines A (2004), Use of research to inform public policymaking, Lancet, 364: 1615-1621.
Lenfant C (2003), Clinical research to clinical practice: lost in translation?, NEJM, 349: 868-874.
Lomas J (1993), Diffusion, dissemination and implementation: who should do what?, Ann NY ACAD Science, 703: 226-235.
McDonnell A, Wilson R, Goodacre S (2006), Evaluating and implementing new services, BMJ, 332: 109-112.
Sung NS, Crowley WF, Genel M et al. (2003), Central challenger facing the National Clinical Research Enterprise, JAMA, 289: 1278-1287.
Tunis SR, Tryer DB, Clancy CM (2003), Practical clinical trials. Increasing the value of clinical research for decision making in clinical and health policy, JAMA, 290: 1624-1632.
Von Bokhoven MA, Kok G, Van der Weijden T: Designing a quality improvement intervention: a systematic approach. Qual Saf Health Care 2003; 12: 215-220.
Victora CG, Habicht JP, Bryce J: Evidence-based public health: moving beyond randomized trials. Am J Public Health 2004; 94 (3): 400-405.
Westfall JM, Molf J, Fagnan L: Practice-based research. ‘Blue-highways’ on the NIH roadmap. JAMA 2007; 297: 403-406.
Woolf SH: The meaning of translational research and why it matters. JAMA 2008; 299: 211-213.
Zerhouni EA: US biomedical research. Basic, translational and clinical sciences. JAMA 2005; 294: 1352-1358.