Il knowledge broker: figura chiave della ricerca traslazionale in via di definizione

Luciana Ballini

Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, Regione Emilia-Romagna


La ricerca traslazionale ha dato nuova enfasi e nuovi input alle attività e iniziative che possono contribuire alla trasmissione dei risultati della ricerca ai decisori – sia di politiche sanitarie che di singole scelte assistenziali – e alla trasmissione dei quesiti irrisolti dei decisori ai ricercatori affinché questi ultimi se ne facciano carico.
Oltre a iniziative volte a promuovere finanziamenti, reti collaborative e diffusione di programmi di ricerca traslazionale, nuovi interventi vengono sviluppati e proposti. Tra questi, l’intervento legato alla figura del knowledge broker si sta rivelando di crescente interesse. La traslazione della conoscenza, o knowledge translation, è un processo dinamico e iterativo, che comprende sintesi, disseminazione, scambio e applicazione eticamente corretta della conoscenza, al fine di migliorare la salute, di offrire assistenza efficace e rafforzare il sistema sanitario. Il knowledge broker, definito come una strategia per la traslazione e lo scambio della conoscenza (Knowledge Translation and Exchange - KTE), è un’attività composita e complessa, dagli obiettivi e risultati tuttora sfumati e poco definiti, pur essendo intuitivamente quanto di più necessario per mettere in comunicazione due domini di pensiero, di metodo e di lavoro molto diversi tra loro: la ricerca e la pratica.
Tra i numerosi articoli pubblicati, un lavoro di alcuni ricercatori della Mac Master University, recentemente apparso su Implementation Science e finanziato dal Canadian Institute of Health Research, tenta di offrire una descrizione dettagliata del knowledge broker, fornendoci strumenti per cominciare a comprenderne meglio obiettivi, caratteristiche, funzioni e risultati attesi1. L’articolo si propone di descrivere in dettaglio un intervento di knowledge brokering utilizzato in uno studio randomizzato e controllato condotto in alcuni dipartimenti di sanità pubblica, con l’obiettivo di implementare interventi di provata efficacia finalizzati a promuovere il controllo del peso corporeo nei bambini.
L’obiettivo principale del knowledge broker è stabilire un collegamento tra chi fornisce i risultati della ricerca e chi li utilizza al fine di sviluppare processi decisionali informati dalle evidenze scientifiche. Le attività legate a questa strategia che gli autori descrivono sono essenzialmente quattro: una approfondita valutazione del contesto, l’acquisizione e la gestione della conoscenza, la traslazione e lo scambio delle conoscenze e la realizzazione dei processi decisionali.
1. La valutazione iniziale consiste in un’approfondita analisi del contesto oggetto dell’intervento a livello sia dei singoli partecipanti che dell’organizzazione. A livello individuale il knowledge broker analizza la posizione dei partecipanti all’interno dell’organizzazione in termini di ruolo, posizione gerarchica, responsabilità decisionale e capacità di influenzare le decisioni. Per quanto riguarda le potenzialità di utilizzo della ricerca, i partecipanti vengono valutati per attitudine e opinione nei riguardi della ricerca e della rilevanza dei suoi risultati rispetto alle proprie decisioni lavorative. Vengono inoltre raccolte informazioni sulle fonti e formati più comunemente utilizzati. A livello dell’organizzazione la valutazione riguarda la storia recente dell’organizzazione (ristrutturazioni, cambi al vertice, cambiamenti nell’organigramma, etc), la tipologia di attività decisionale, la formazione offerta ai propri collaboratori e dipendenti e le iniziative di miglioramento della qualità intraprese. Altre caratteristiche di rilievo sono quelle che ne esprimono l’intensità di relazioni esterne, come l’appartenenza a reti collaborative, le partnership con altre organizzazioni, con comunità di ricerca e gruppi di interesse. Infine viene valutata la disponibilità e l’entità di risorse e infrastrutture propedeutiche allo sviluppo della conoscenza e all’utilizzo dei risultati della ricerca (accessi a database e pubblicazioni full-text , biblioteche biomediche elettroniche, etc).
2. La ricerca e gestione della conoscenza è la seconda attività del knowledge broker che, per essere in grado di facilitare l’accesso alla migliore ricerca, deve in prima persona essere a conoscenza non solo dei risultati più recenti ed aggiornati degli studi, ma anche dei dibattiti in corso e dei principali sviluppi in termini di metodi e di esiti. Un attributo fondamentale del knowledge broker è la sua capacità di valutazione, interpretazione e sintesi dei risultati della ricerca. A questa figura è affidata la responsabilità di farsi interprete principale dei bisogni conoscitivi dei decisori e di saper estrapolare dalla ricerca le risposte ai quesiti più pressanti. Oltre a questa parte concettuale, la gestione della conoscenza necessita di una attività prettamente operativa, come la gestione di mailing-list, sistemi di archivio, flussi di informazione e applicativi informatizzati che permettano il facile accesso e reperimento delle informazioni e del materiale scientifico da parte di tutti i partecipanti ai progetti. Al knowledge broker è inoltre affidata la formazione alla valutazione critica e interpretazione degli studi e delle revisioni sistematiche in modo da rendere effettiva la partecipazione dei professionisti alla messa a punto dei messaggi chiave.
3. Sulla traslazione e lo scambio della conoscenza (KTE) si incentra il ruolo del knowledge broker, le cui capacità vanno oltre la valutazione critica e traduzione in linguaggio corrente di strumenti di sintesi già esistenti, come le revisioni sistematiche della letteratura o linee guida per la pratica clinica. L’opera di traslazione richiede infatti l’attività di interpretazione dei quesiti dei potenziali utilizzatori, di ricerca delle risposte e di confezione di messaggi chiave che mettono in relazione la ricerca con le prospettive locali, assicurandosi allo stesso tempo che linguaggio e termini siano trasversali e trasferibili ad altri e diversi utilizzatori. Questa attività richiede pertanto un contatto stretto con i partecipanti, frequenti visite ai luoghi e contesti di lavoro, collaborazione nella stesura, rilettura e correzione dei sommari e resoconti dei risultati della ricerca. Inoltre, per arricchire e assicurare spessore al dibattito sul significato e rilevanza dei risultati della ricerca, il knowledge broker deve essere in grado di costruire network professionali e creare le opportunità per lo scambio di esperienze, punti di vista e proposte di interventi o soluzioni.
4. Lo sviluppo e realizzazione dei processi decisionali informati dalle evidenze, infine, è conseguito supportando i partecipanti nell’analisi dei fattori che ostacolano l’adozione degli interventi suggeriti dai risultati della ricerca, delle implicazioni che tali interventi possono avere sulle politiche e l’organizzazione dell’assistenza, e nella pianificazione e valutazione di impatto degli interventi scelti.
Oltre a questa sorta di agenda di lavoro del knowledge broker gli autori dell’articolo tentano di fornirne anche una specie di profilo professionale. Questa figura deve avere una formazione scientifica – di qualsiasi natura – esperienza di ricerca, capacità interpretative dei risultati della ricerca e una adeguata conoscenza delle organizzazioni sanitarie e attività assistenziali. Poiché la traslazione della conoscenza richiede collaborazioni e partnership, occorrono capacità e predisposizione alla negoziazione e conoscenza di efficaci strategie di mediazione. Per la complessità del settore e la comprensione delle molteplici dimensioni che lo caratterizzano è necessaria un’adeguata conoscenza delle diverse metodologie di ricerca, sia qualitative che quantitative. Per l’unicità del ruolo, però, il tutto si completa con capacità comunicative e relazionali difficilmente definibili, non acquisibili con un training formale e fortemente dipendenti dai tratti della personalità. Se questo ultimo passaggio può sembrare deludente è pur sempre veritiero e non sminuisce l’apprezzabile sforzo di aver tentato una definizione dell’attività di questa figura in maniera sufficientemente concreta da poterla legare ad un processo di relazioni con risultati valutabili. Questo, senza dubbio, rappresenta il primo passo per poter costruire una letteratura di riferimento per questa strategia in grado di documentarne un impatto. La figura del knowledge broker, infatti, che lentamente e a fatica va definendosi, deriva da esperienze positive quasi fortuite e dal desiderio di documentare queste esperienze ricavandone un significato tangibile, condivisibile e trasferibile.
La letteratura su questa strategia, sebbene ancora in via di sviluppo, ci aiuta a cogliere una tensione essenziale tra il mondo della ricerca e il mondo della pratica clinica. Nella ricerca, fondata su metodi di falsificazione di ipotesi e su verità ‘transitorie’ (in attesa di essere superate da altre ‘verità’), l’errore, il risultato inatteso e perfino il non-risultato fanno parte della scoperta e contribuiscono alla crescita del sapere, stimolando quesiti e ipotesi da testare successivamente. Nei processi decisionali, invece, l’errore e il non-risultato non offrono alcuna ‘consolazione’ e pur essendo teoricamente ammessi e compresi, sono fortemente temuti in quanto indici di fallimento. I tempi delle decisioni e le loro conseguenze sono quasi istantanei rispetto ai tempi lunghi della conoscenza. La dinamicità della scienza e le sue leggi di probabilità quindi mal si coniugano con l’esigenza di stabilità e di certezza delle decisioni. Ciò nonostante la scelta razionale, informata dalla conoscenza e dai risultati della ricerca, è l’unica percorribile e quella che garantisce equità nella qualità dell’assistenza ed equa responsabilità decisionale. Secondo questa prospettiva il ruolo del knowledge broker assume quindi una grande rilevanza, oltre che un’importante responsabilità: quella di far sì che i due settori – quello della ricerca e quello delle decisioni –  riconoscano e accettino queste differenze e questa tensione. Gran parte della non comunicazione è dovuta al fatto che i ricercatori tendono a trascurare i vincoli e le responsabilità dei decisori, e i decisori tendono a ricusare il principio di incertezza intorno al quale ruota l’attività dei ricercatori.
Il processo di traslazione non deve quindi essere finalizzato ad azzerare questa tensione, ma a mediarla e a capitalizzarla rispettando specificità, contributi e diverse responsabilità di entrambi.