La ‘medicina difensiva’: fenomeno moderno dalle radici antiche
Giorgia Guerra
Avvocato e Dottore di ricerca in studi giuridici comparati ed europei, Università degli Studi di Trento

Riassunto. Le pagine che seguono si propongono di descrivere i mutamenti che hanno caratterizzato un’infelice ed antica pratica: la ‘medicina difensiva’. Dopo un breve excursus sulle radici storiche e sulle cause di natura sistematica ed individuale che motivano il fenomeno in tempi moderni, la rubrica mette a fuoco gli strumenti de iure condito e de iure condendo finalizzati ad arginarlo.
Parole chiave. Depenalizzazione, linee guida, medicina difensiva, responsabilità medica.


Abstract. The article examines the ancient and unsuitable practice of defensive medicine.
After a short description of the historical origins and modern causes of the practice, the article focus on current legal tools suitable for limiting defensive medicine.
Key words. Decriminalization, defensive medicine, guidelines, medical malpractice.

1. Dalle radici antiche della medicina difensiva alla definizione attuale
Esempi di medicina difensiva sono fatti risalire ad epoche insospettabili per comportamenti del genere. Uno degli episodi più antichi risale al IV secolo aC ed è riportato da Curzio Rufo nelle Historie Alexandri Magni: l’autore narra che Alessandro, gravemente ferito in battaglia, non riuscì a trovare alcun medico disponibile ad intervenire per asportare la freccia che si era conficcata nel suo corpo, sino a quando lo stesso, conscio della gravità della lesione e delle ragioni per le quali i chirurghi erano tanto restii a intervenire, promise saggiamente l’impunità a tal Critobulo, che alfine lo operò.
Numerose sono poi le testimonianze di vicende analoghe occorse nei secoli successivi, in cui i chirurghi si rifiutavano di eseguire taluni interventi senza prima aver ottenuto l’impegno, da parte dell’assistito e dei suoi parenti, di rinunciare a qualunque rivalsa nei loro confronti.
Le ragioni della medicina difensiva sono oggi sicuramente diverse da quelle dei secoli andati. La medicina difensiva ‘moderna’, diffusasi in tutti gli Stati europei, ha preso consistenza negli Stati Uniti durante gli anni ’701.
Nel corso degli ultimi decenni, a partire dal contesto americano, si è profondamente modificata l’impostazione del rapporto medico-paziente, è aumentata la consapevolezza sociale del problema della medical malpractice, e si è andata affermando una sempre maggiore attribuzione di responsabilità civile e penale all’operatore sanitario. La classe medica, riconosciuta sempre più come responsabile di episodi di malasanità, a torto o a ragione, è stata esposta ad un numero sempre maggiore di azioni legali2.
Nel contesto socioculturale venutosi a creare negli ultimi decenni, si è profondamente modificato il consueto rapporto medico-paziente; infatti, si è sviluppato un generale rafforzamento del concetto di tutela del paziente e si è andata via via consolidando la consapevolezza dei doveri in capo al medico e della possibilità di trovare ristoro giudiziale per i danni eventualmente occorsi a seguito di interventi medici. Le ragioni all’origine di tale mutamento possono essere ricondotte a cause di diversa natura:
• cause di natura ‘sistemica’, vale a dire riferite al più generale contesto socioculturale all’interno del quale il medico opera. Tra queste, ad esempio, si annoverano la trasformazione del rapporto medico-paziente, la spersonalizzazione della responsabilità e l’evoluzione e il forte impatto della tecnologia in medicina che comporta nuove tipologie di rischi;
• cause di natura ‘individuale’, più strettamente riconducibili alla psicologia del singolo operatore sanitario. Tra queste, per esempio, incide il modo in cui il professionista considera e si preoccupa del fattore contenzioso3.
Oggi il fenomeno della pratica medica difensiva include svariate strategie e, pertanto, non si presta ad un modello descrittivo unitario. Secondo la definizione ormai invalsa, quella dell’Office of Technology Assessment americano, il fenomeno della medicina difensiva si “verifica quando i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite, oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, principalmente (ma non esclusivamente) per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici prescrivono extra test o procedure, essi praticano una medicina difensiva positiva; quando evitano certi pazienti o trattamenti, praticano una medicina difensiva negativa” 4. Tale descrizione, sebbene non esaustiva e caratterizzata da ampi margini di indeterminatezza, costituisce il punto di partenza di ogni indagine in tema di defensive medicine, per la sua capacità di accorpare l’insieme delle condotte (attive o omissive, consapevoli e inconsce) che non obbediscono al criterio essenziale del bene del paziente, ma che si ispirano all’intento egoistico/utilitaristico di non esporsi al rischio di un contenzioso giudiziario nello svolgimento dell’attività professionale.
Ad ogni modo, la classificazione più comune permette di riconoscere due fondamentali modalità di condotta difensiva: una attiva (positiva) e una passiva (negativa). La prima si caratterizza per un eccesso di prestazioni e atti diagnostici e/o terapeutici non realmente necessitati dalla situazione contingente, per ridurre le accuse di malasanità; la seconda, invece, è contraddistinta dal tentativo di evitare determinate categorie di pazienti o determinati interventi diagnostici e/o terapeutici, perché potrebbero prospettare un rischio di contenzioso 5.
Il fenomeno della medicina difensiva si è generalmente radicato in società particolarmente evolute e caratterizzate da diffuso benessere, sulla base di alcuni presupposti connessi proprio allo sviluppo socioeconomico.
Alla base dell’atteggiamento difensivo della classe medica vi è un consistente spostamento dell’asse della responsabilità sanitaria verso un assetto di tutela rafforzata del paziente e il conseguente anomalo intensificarsi del contenzioso legale per medical malpractice6.
2. Una breve ricostruzione dei principi di responsabilità civile applicabili al rapporto medico-paziente
Per poter comprendere le cause all’origine di tale fenomeno è però necessaria una seppur brevissima, preliminare, descrizione dei principi generali del nostro ordinamento giuridico in tema di responsabilità civile del medico e in tema di inadempimento nella professione medica.
L’operato del medico nei confronti del paziente è guidato dall’aderenza ai principi di eticità, deontologia, competenza scientifica e da norme giuridiche, in particolare dall’adempimento ai principi di responsabilità contrattuale verso il paziente stesso, ai sensi dell’articolo 1218 c.c.
Un lungo iter giurisprudenziale ha assoggettato l’operatore sanitario ad un contratto d’opera professionale nei confronti del paziente, di cui si fa carico non in virtù della sottoscrizione di un contratto, ma del c.d. ‘contatto sociale’ che si instaura tramite la relazione terapeutica7.
La cosiddetta contrattualizzazione della responsabilità del medico delinea, pertanto, un rapporto professionale in cui il paziente è creditore della prestazione professionale8, mentre il medico è tenuto ad offrire la propria attività secondo i parametri di diligenza, prudenza e perizia:
• la diligenza individua il modello di precisione e abilità tecnica a cui il debitore deve uniformarsi e indica lo sforzo che deve profondere per adempiere esattamente;
• la perizia consiste nel complesso di cognizioni tecniche acquisite attraverso lo studio e l’esperienza, nonché nella capacità di metterle in atto nel momento opportuno;
• la prudenza fa riferimento a un criterio della condotta caratterizzato dall’agire dopo una conveniente riflessione preventiva, osservando le cautele del caso e tenendo in considerazione gli eventuali rischi che possono conseguire da una data condotta.
L’inosservanza da parte del medico dei comportamenti appena ricordati, e l’adozione di una condotta tale da determinare, invece, un danno a carico del paziente, costituisce il fondamento della responsabilità da inadempimento contrattuale. In una simile circostanza il paziente – ritenuto parte lesa – è tenuto a dimostrare di aver ricevuto un tipo di prestazione medica differente rispetto al modello normalmente realizzato in capo a una condotta diligente, mentre al medico – ritenuto colpevole – incombe l’onere di provare che l’inesattezza della prestazione è dipesa da cause a lui non imputabili.
Il medico, infatti, è da considerarsi esente da responsabilità quando il peggioramento delle condizioni del paziente sia stato determinato da un evento non superabile con l’adeguata diligenza, o per l’intervento di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva e non causalmente connesso al suo negligente operato. In ogni caso, l’asse dell’onere probatorio è spostato sul medico, con un vantaggio processuale a favore del paziente9.
3. Come si può riequilibrare il rapporto medico-paziente per evitare di assumere misure comportamentali difensive?
Utilizzare in modo appropriato gli strumenti a disposizione potrebbe certamente contribuire ad arginare le pratiche identificabili come medicina difensiva10. Tra i principali ‘strumenti’ che identifichiamo in questo senso, si è reputato di distinguere i seguenti.
a) L’informazione e il consenso consapevolmente prestato. Alla base di un rapporto medico-paziente così come oggi concepito, la comunicazione deve assurgere a momento centrale di questo rapporto. Informazione, comunicazione e relazione, dunque, devono integrarsi ed essere tutte presenti nella relazione tra paziente e medico. Ciò potrebbe inibire, da un lato il ricorso dei medici a un atteggiamento difensivo che va a discapito dell’interesse dei pazienti e, dall’altro, il ricorso di pazienti insoddisfatti e, talvolta, persino rancorosi, alle aule dei Tribunali, seppur a fronte di un corretto approccio diagnostico-terapeutico. Senza dubbio, infatti, un paziente che si è sentito accolto e curato in maniera adeguata avrà l’impressione che sia stato fatto tutto ciò che poteva essere il meglio, ritenendosi considerato e addirittura protetto dal medico; si sentirà compartecipe delle scelte effettuate, così che, qualora dovesse verificarsi un evento inatteso, saprà meglio distinguere e accettare ciò che talvolta risulta inevitabilmente indipendente dalle capacità di chi lo ha in cura, in un ambito, come quello della medicina, gravato in ogni sua forma dall’imprevedibilità.
b) Riattribuire il corretto significato alle linee guida. Le linee guida – afferma in questi esatti termini la stessa dottrina che propone l’analisi che qui si riporta – “devono essere mediate dalla professionalità ed esperienza del medico affinché rimangano strumenti utili e non annientino l’autonomia e la responsabilità professionale del medico attraverso una cieca e pericolosa osservanza”.
c) La revisione della definizione di atto medico. Altra possibile metodologia per arginare il fenomeno della medicina difensiva potrebbe essere quella di rivedere la nozione di atto medico che, al momento, è astratta e poco pratica rispetto alle realtà concrete. Non contiene infatti una puntuale ricostruzione di che cosa sia l’atto medico ma solo in generale le azioni in esso comprese.
In pratica, secondo la definizione dell’Unione europea dei medici specialisti (Uems) del 2006: “L’atto medico comprende tutte le azioni professionali, vale a dire le attività scientifiche, didattiche, formative ed educative, cliniche, medico-tecniche compiute al fine di promuovere la salute e il buon funzionamento, prevenire le malattie, fornire assistenza diagnostica e terapeutica e riabilitativa a pazienti, gruppi o comunità nel quadro del rispetto dei valori etici e deontologici. Tutto ciò rientra nei doveri del medico iscritto (cioè abilitato e iscritto all’Ordine dei medici) o deve avvenire sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione” 11.
La genericità della definizione crea nel contesto sociale in cui oggi si sviluppa la medicina un problema di relativa indeterminazione della professione medica, che pone due importanti ordini di questioni: il primo riguarda i rapporti tra atto medico e paziente, il secondo riguarda i rapporti tra medici, altre professioni sanitarie e aziende.
Peraltro, la non agevole individuazione delle regole precauzionali poste a fondamento dell’imputazione colposa costituisce la naturale cornice entro cui prende corpo la medicina difensiva, posto che quest’ultima si manifesta proprio quando il singolo medico è chiamato ad effettuare determinate scelte in merito al suo operare, rappresentando uno dei possibili parametri valutativi a cui attenersi. Quando perciò la norma comportamentale diviene particolarmente incerta, il riferimento primario all’interesse del paziente può essere pretermesso in favore della pratica che presenti il minor rischio per il medico, dovendosi considerare che nell’attività sanitaria, per definizione regno della colpa generica, l’alea di rischio dell’agire (e dell’omettere) si allarga in parallelo all’estensione dei margini della discrezionalità valutativa e/o operativa.
4. Iniziative concrete per far fronte al problema
Al momento vi sono accreditate iniziative orientate al contenimento del rischio penale per il medico e, dunque, al superamento della medicina difensiva. Esse suggeriscono di ridurre e stabilizzare i margini della colpa, ora circoscrivendola alla sola ‘colpa grave’, ora attribuendo valore obiettivo e predeterminabile ad alcuni strumenti di ampia consultazione nella professione medica, da individuarsi ad esempio in quelle guideline accreditate scientificamente che costituiscono un ‘distillato’ delle migliori acquisizioni della scienza medica12. Nel recente art. 3, co. 1, l. 8 novembre 2012, n. 189 (cosiddetta legge ‘Balduzzi’), i parametri delle ‘linee guida’ e della ‘colpa grave’ vengono addirittura a cumularsi.
Prima della legge Balduzzi si deve segnalare la proposta del Centro studi ‘Federico Stella’ sulla giustizia penale e la politica criminale13: un indubbio merito del progetto è quello di riposare su uno studio quali-quantitativo della percezione del problema in ambito sanitario tra la classe medica. Un limite della stessa, invece, è l’attenzione quasi esclusiva al profilo penale del problema e alle sue implicazioni14. Del resto lo studio quali-quantitativo era disegnato per rilevare questi profili e, dunque, il percorso appare assai logico e coerente. Gli obiettivi dei trenta articoli che lo compongono sono riassunti dagli autori nel senso di ridurre gli effetti negativi della medicina difensiva e del contenzioso legato al rischio clinico con l’obiettivo di tutelare il paziente con percorsi di ‘giustizia riparativa’15, l’obbligo assicurativo in capo alle aziende ed una revisione delle regole del processo penale.
Nell’articolato, il perno concettuale attorno cui ruotano tutti i propositi di riforma è la riduzione della medicina difensiva (positiva e negativa) per i costi ed i rischi che essa comporta. In tale direzione va la forte ‘depenalizzazione’ di alcune fattispecie di reato che prevedono la soglia della colpa grave per i reati di cui agli art. 589 e 590 c.p.
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Note
1Avraham, 2010.
2Bolboni et al, 2011 e Introna, 2001, p 886.
3La distinzione è proposta da Barresi et al, 2012, p 9.
4Office of Technology Assessment, US, Congress 1994.
5La distinzione è insita nella definizione dell’Office of Technology Assessment.
6Barresi et al, 2012, p 6.
7Leading case in materia è: Cass 22 gennaio 1999, n. 589, in Corr. giur., 1999, 441. È necessario dar conto che tale costruzione giuridica è stata, però, oggetto di critiche in dottrina (vedi Zaccaria, 2009, p. 40). Senza dilungarsi, occorre evidenziare che la teoria del contatto sociale comporterebbe il trattamento della responsabilità del medico alla stregua di una responsabilità para-oggettiva o para-assicurativa e, configurata nel modo in cui è stata configurata dalla giurisprudenza italiana, snatura il contesto contrattuale originale nel quale ha preso forma nell’ordinamento tedesco (il contratto a tutela del contraente, e non la prestazione di servizi qual è la natura della prestazione medica).
8Sulla contrattualizzazione del rapporto medico si veda Izzo, 2005, 137.
9In tema di ripartizione dell’onere della prova, la storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 30 ottobre 2001, n. 13533 ha chiarito che, l’art. 2697 c.c., con la sua formulazione alquanto generica, chiede all’attore di provare i fatti costitutivi del suo diritto e al convenuto quelli impeditivi/estintivi/modificativi. La sentenza ha coniato l’espressione di “vicinanza della prova” per indicare che l’onere probatorio va allocato sul soggetto che più agevolmente è nelle condizioni (per conoscenza del caso e competenze professionali) di potersi procurare la prova. Applicando tale principio, quando il creditore agisce in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto avente ad oggetto un’obbligazione positiva deve solo allegare l’inadempimento del debitore, e non provarlo, vista la sua natura di fatto estintivo del diritto quesito. Inoltre, il debitore incontrerà meno difficoltà rispetto all’attore nel provare l’avvenuto adempimento dell’obbligazione, essendo, verosimilmente, in possesso di una quietanza di pagamento. È proprio questo, insieme ad altre considerazioni, il criterio adottato dalla Corte di Cassazione in questa sentenza. Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, 769, con nota di P. Laghezza, Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo; v. inoltre il commento di G. Villa, Onere della prova, inadempimento e criteri di razionalità economica, in Riv. dir. civ., 2002, II, 707.
10Tali proposte sono state avanzate da Barresi et al, 2012, spec p 38.
11La definizione è stata elaborata dall’Unione europea dei medici specialisti (Uems) che nel 2006 ha pubblicato un documento che contiene la ‘Definizione europea di atto medico’. Per maggiori informazioni si consulti il sito: http://www.uems.net/.
12Tale considerazione della natura delle linee guida non è, purtroppo, unanime. Anzi, anche dopo la l. 8 novembre 2012, n. 189, la loro natura e rilevanza giuridica è oggetto di analisi e discussioni. Sul punto si rinvia a Guerra, 2013. Si veda anche quanto detto nel precedente paragrafo.
13Forti et al, 2010.
14Bartoli, 2010 e 2011. Vedi anche Palazzo, 2010.
15La giustizia riparativa “può essere definita come un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. La sfida che la giustizia riparativa lancia, alle soglie del XXI secolo, è quella di cercare di superare la logica del castigo muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise”. Così viene definita nella scheda di sintesi redatta dalla Commissione di studio sulla mediazione penale e la giustizia ripartiva, del 26 febbraio 2002, disponibile al link: http://www. giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?facetNode_1=0_2& previsious Page=mg_1_12&contentId=SPS31448