È arrivato SQUIRE: lo standard per la ricerca sul miglioramento
della qualità assistenziale

Luciana Ballini

Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna

Oltre alle linee guida e raccomandazioni per la pratica clinica – sviluppate da gruppi di esperti clinici e metodologi – disponiamo anche di linee guida per la pubblicazione della ricerca prodotte da panel di esperti ricercatori e in questo autunno 2008 è stato pubblicato l’aggiornamento di un importante strumento: lo SQUIRE (Standard for QUality Improvement Reporting Excellence) (Ogrinc el al., 2008). Con questa pubblicazione si arricchisce la lista di linee guida per autori e ricercatori, che contiene gli altri documenti quali il CONSORT – per gli studi clinici randomizzati controllati – lo STARD – per gli studi di diagnosi, lo STROBE – per gli studi osservazionali, il QUORUM e il MOOSE – per le metanalisi di studi randomizzati e studi osservazionali. Per chi ha difficoltà ad orientarsi in questa selva di acronimi, il web ne offre un altro: EQUATOR, il sito di un network, finanziato dall’NHS National Library for Health e dal National Institute for Health Research, dove sono raccolti tutti questi e altri strumenti e dove si trovano anche i relativi articoli ed editoriali di accompagnamento oltre a interessanti forum di discussione (www.equator-network.org).
Il perché di questi strumenti è ormai noto. L’affermarsi delle revisioni sistematiche – e quindi dell’utilità di raccogliere tutti gli studi pubblicati su un dato argomento, confrontandone i risultati per arrivare ad esprimere stime complessive – richiede tra i vari requisiti metodologici anche la definizione dei criteri di inclusione ed esclusione degli studi. Questi criteri riguardano innanzitutto l’oggetto dello studio, che deve corrispondere al quesito della revisione sistematica, ma anche aspetti di carattere metodologico, che conferiscono validità e trasferibilità ad uno studio.
Questo processo ne ha innescato un altro, quello delle linee guida per il reporting degli studi. Gli autori delle revisioni sistematiche, infatti, spesso si sono trovati nella situazione di dover escludere dalla loro analisi alcuni studi in virtù del fatto che dagli articoli non risultava chiaro se certi requisiti metodologici, essenziali alla conduzione appropriata di uno studio, fossero stati trascurati oppure solamente omessi dall’articolo. Le linee guida per la scrittura degli articoli dovevano assistere gli autori e aiutarli a non tralasciare elementi di metodo essenziali, in modo da assicurare l’inclusione del proprio studio nelle revisioni sistematiche e metanalisi. In una sorta di gioco simile a quello delle scatole cinesi, le linee guida per il reporting hanno avuto l’ulteriore effetto virtuoso di rappresentare una guida anche per la conduzione degli studi. Mettendo a disposizione check-list di facile e immediata consultazione, i ricercatori che sviluppano il proprio protocollo di studio possono facilmente verificare di avere “pensato a tutto” e di avere preparato lo studio in maniera rigorosa.
All’inizio degli anni 2000 si è cominciato a pensare anche alle linee guida per gli studi che valutano i programmi e gli interventi di miglioramento della qualità e della sicurezza dell’assistenza sanitaria. Questa esigenza è scaturita da diverse considerazioni. Innanzitutto la consapevolezza che non si ha adeguata traccia della grande quantità di lavoro condotto in contesti clinici e assistenziali per migliorare la qualità e la sicurezza della cura. Solamente una piccola parte di questo lavoro arriva alla pubblicazione e questo è in buona parte dovuto al fatto che chi promuove e conduce questi progetti raramente svolge attività accademica o è ricercatore di professione. La principale motivazione a dedicarvi tempo ed energia, infatti, deriva dalla necessità e soddisfazione di veder migliorare la qualità e gli esiti del proprio lavoro, piuttosto che da quella di pubblicare in riviste ad alto impact factor. A questa ‘apatia’ si aggiunge la poca disponibilità o interesse da parte delle riviste a pubblicare questo tipo di studi che, riportando esperienze locali spesso sotto forma di case study, tendono a privilegiare dettagliate descrizioni del processo e sembrano offrire risultati poco generalizzabili.
Gli autori dello SQUIRE rimarcano che la tendenza a non pubblicare è una delle barriere principali allo sviluppo di una disciplina, o vera e propria scienza, del miglioramento della qualità dei servizi in quanto la condivisione di concetti, teorie, metodi e risultati è essenziale per l’affermarsi di una comunità scientifica in grado di assicurare il progresso del proprio lavoro, sia teorico/metodologico che applicato. Si sono quindi assunti la responsabilità di uno sforzo diretto sia a stimolare le persone a pubblicare il proprio lavoro, rendendole consapevoli di svolgere non solo una attività istituzionale, ma anche una attività di ricerca – sia a migliorare la qualità di questa ricerca nell’intento di potenziare la base scientifica dei programmi di miglioramento della qualità e della ricerca dei servizi sanitari in generale.
Nello strumento SQUIRE troviamo un deciso richiamo a strutturare gli studi secondo la struttura IMRaD (Introduction, Methods, Results and Discussion) degli studi sperimentali. Pur riconoscendo la natura non esattamente lineare degli studi di miglioramento – dove gli interventi valutati spesso subiscono verifiche e susseguenti modifiche durante il processo – ciò non li esenta dal dover rispondere ai quesiti chiave di qualsiasi sperimentazione: perché si fa? cosa si fa? cosa si vuole trovare? che significato hanno i risultati?
Nonostante l’intento primario sia quello di una guida alla scrittura degli articoli, i ricercatori in questo campo troveranno, nella dettagliate descrizioni che accompagnano le voci della check-list, importanti indicazioni di carattere metodologico sia per la valutazione dei risultati che per l’analisi del processo, che oltre ad essere cruciale per la comprensione e la trasferibilità dei risultati è spesso parte integrante dell’intervento. Il fatto che il miglioramento della qualità sia essenzialmente un processo sociale non rende affatto irrilevanti o inapplicabili gli standard metodologici degli studi di efficacia, bensì richiede ulteriori e aggiuntivi standard metodologici per la valutazione delle caratteristiche e dell’impatto del processo. Un’ampia parte del documento è quindi anche dedicata ai disegni di studio e vengono proposte utili considerazioni sull’opportunità di applicare il disegno dello studio randomizzato e controllato o disegni di studio alternativi. Qui vengono trattati elementi di metodo già riportati in un altro importante documento di indirizzo per questo tipo di ricerca, che vale la pena segnalare: la guida per la valutazione degli interventi complessi del Medical Research Council (http://­www.mrc.ac.uk/­Utilities/­Documentrecord/­index.htm?­d­=­MRC004871) anch’essa recentemente aggiornata e ripresentata ad ottobre dal BMJ (Craig et al., 2008).
A sottolineare la rilevanza di questi strumenti ci sono due importanti aspetti. Il primo è che la loro pubblicazione è open access – anche quando pubblicati in riviste a pagamento come Quality and Safety in Health Care – al fine di garantirne la diffusione più ampia e di rimarcarne il contributo per la ricerca come bene comune. Il secondo è che questo lavoro è finanziato principalmente attraverso risorse pubbliche. In questo contesto trovano respiro attività permanenti di comunità scientifiche dalla forte connotazione collaborativa, votate al confronto e allo sforzo congiunto, attraverso il superamento dei naturali confini di dipartimenti, laboratori, agenzie e altre ‘isole felici’.
Bibliografia
Craig P, Dieppe P, Macintyre S et al. (2008), Developing and evaluating complex interventions: the new Medical Research Council guidance, BMJ, 337: a1655.
Ogrinc G, Mooney SE, Estrada C et al. (2008), The SQUIRE (Standards for QUality Improvement Reporting Excellence) guidelines for quality improvement reporting: explanation and elaboration, Qual Saf Health Care, 17 (Suppl I): i13-i32.