Equità, assistenza, capitale sociale, appropriatezza e ricerca

Massimo Brunetti

Azienda Usl di Modena

Closing the gap in a generation:
health equity through action on the social determinants of health
Marmot M, Friel S, Bell R on behalf of the Commission on Social Determinants of Health
Lancet 2008; 372: 1661-1669

Alla fine di agosto 2008, la Commission on Social Determinants of Health dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, coordinata dal Professor Marmot, ha pubblicato il suo rapporto finale e l’articolo pubblicato su Lancet ne sintetizza i risultati. L’obiettivo è quello di evidenziare politiche mirate alla promozione dell’equità nella salute in tutte le nazioni ad ogni livello di sviluppo, favorendo anche la creazione di un movimento globale attorno al problema: tali politiche devono coinvolgere tutti i settori, inclusa la società civile, il volontariato e il settore privato. Tre indirizzi di intervento vengono proposti dalla Commissione: il miglioramento delle condizioni di vita quotidiane, la lotta a una diseguale distribuzione del potere, del denaro e delle risorse a livello globale, nazionale e locale, e la misurazione e valutazione della conoscenza del problema sui determinanti della salute.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario innanzitutto garantire benessere alle donne e ai loro figli, creando una rete di protezione sociale per le loro condizioni di vita e lavorative. È quindi importante incidere sull’organizzazione della società per ridurre le differenze di genere, anche attraverso un settore pubblico adeguatamente finanziato che dia spazio alla società civile.
Un altro aspetto sul quale intervenire riguarda lo spostamento di un numero sempre maggiore di persone verso le città: questo processo può infatti incidere sulle disuguaglianze nella salute, per chi sperimenta il disagio delle condizioni abitative e dei trasporti delle periferie urbane. Una distribuzione omogenea sul territorio dei servizi essenziali, indipendentemente dalla capacità di reddito delle persone, potrebbe migliorare la situazione.
Importanti sono anche le condizioni lavorative, in quanto una maggiore flessibilità del lavoro porta a peggiori risultati in termini di salute dei lavoratori: sempre più persone a livello mondiale mancano oggi di protezione sociale dalle malattie e dalle disabilità e non godono di coperture sociali sufficienti in caso di perdita del lavoro: adeguate politiche di sostegno alle famiglie vulnerabili possono avere un forte impatto migliorativo sulla salute delle persone.
Per un’efficace riduzione delle disuguaglianze è indispensabile poi garantire una copertura sanitaria universale, essendo la salute un bene comune e non commerciale. La commissione spinge perché le nazioni si muovano verso sistemi che garantiscano il finanziamento del servizio sanitario attraverso la tassazione generale e una copertura sanitaria obbligatoria, incrementando lo sviluppo dell’assistenza territoriale. Sarà possibile risolvere il problema in una generazione? Secondo la Commissione l’agenda è molto lunga, ma molto può e deve essere fatto in ogni nazione.
Reflections on the development of health inequalities policy in the United Kingdom
Oliver A
Working Paper No. 11/2008, London School
of Economics and Political Science

Sempre nell’ambito delle disuguaglianze Adam Oliver, uno dei fondatori dello UK Health Equity Network, ci offre un contributo legato alla storia delle politiche sul contrasto alle disuguaglianze nel Regno Unito. Partendo dal lavoro del 1842 di Edwin Chadwick sulle condizioni sanitarie e di vita della popolazione in Gran Bretagna, vengono qui raccontati anche i retroscena che spiegano come queste ricerche siano nate e come i politici abbiano più o meno supportato i ricercatori in questo ambito. Nel 1848 il Public Health Act riprese parte delle proposte fatte da Chadwick, legate al miglioramento delle condizioni abitative e igieniche. Si dovette tuttavia attendere l’istituzione del National Health Service nel 1948 per vedere inserito di nuovo il tema delle disuguaglianze nell’agenda politica del governo inglese. Successivamente, solo alla fine degli anni Settanta, è stata ripresa l’analisi sulle disuguaglianze, che porterà alla pubblicazione del Black Report degli anni Ottanta. Interessante la descrizione di come il governo Thatcher abbia cercato di non considerare i risultati di questo lavoro, dichiarando la non sostenibilità economica delle proposte.
Il governo Blair decise nel 1997 di dare nuovo impulso allo studio del problema e da questo è scaturita nel 1998 la pubblicazione dell’Acheson Report, che prevedeva 39 diverse raccomandazioni. Infine nel 2001 sono stati definiti, a livello nazionale, target specifici sulla riduzione delle disuguaglianze, come la riduzione entro il 2010 della differenza nella mortalità infantile fra la popolazione generale e quella dei lavoratori manuali.
Accanto all’analisi storica, Oliver fa anche alcune proposte: una riguarda l’impiego di strumenti competitivi non finanziari, come la pubblicazione obbligatoria da parte delle strutture sanitarie di indicatori di qualità per il miglioramento delle disuguaglianze; un’altra proposta è legata all’adozione di incentivi economici, pur riconoscendo tutte le problematiche legate al loro impiego, e un’altra ancora prevede l’introduzione di misure legate al concetto di ‘libertarian paternalism’. L’interesse del lavoro di Oliver risiede anche nel fatto che aiuta a percepire il clima politico e culturale di elaborazione delle diverse proposte di riduzione delle disuguaglianze nel Regno Unito.
Informal care for older people provided
by their adult children: projections of supply
and demand to 2041 in England
Linda Pickard
PSSRU Discussion Paper 2515, 2008

Questo studio, realizzato per il Ministero della salute inglese, fa una proiezione al 2040 della situazione dell’assistenza alle persone anziane fragili, ossia a quelle persone con una disabilità funzionale e difficoltà nelle attività domestiche e di cura nella persona.
Attualmente sono 400.000 le persone che forniscono assistenza informale ai parenti anziani, ma il loro numero salirà – ipotizzando gli stessi trend del passato anche per il futuro – a 500.000 nel 2041. Tuttavia, il numero di persone che necessitano di assistenza aumenterà da 600.000 a 1,3 milioni. Nei prossimi 35 anni, quindi, la domanda per l’assistenza non pagata di anziani da parte dei loro figli pari ad almeno 20 ore la settimana – aumenterà del 90%. Quindi, il rapporto ricevitori/fornitori di cura si abbasserà dallo 0,6 del 2005 allo 0,4 del 2041. Questo problema, spiegabile con il cambiamento demografico e con l’aumento del numero di persone anziane rispetto a quelle giovani, comporterà anche un problema per le persone che accedono al mercato del lavoro, in particolare per le donne, che attualmente forniscono il 60% di quest’assistenza, con un aumento delle disuguaglianze di genere. Linda Pickard si pone domande sulla sostenibilità del sistema e sui servizi di cura che dovrebbero essere creati a tale scopo.
Social capital, economics, and health:
new evidence
Scheffler RM, Brown TT
Health Econ, Policy Law 2008; 3: 321-331

Questo editoriale apre un intero numero della rivista, dedicato al rapporto fra capitale sociale e salute. Esistono diverse definizioni di capitale sociale, ma con questo termine si vuole indicare il livello di fiducia, cooperazione, legami associativi e attività presenti in una comunità. In un esempio, citato dagli autori, due comunità identiche in termini di reddito, istruzione, struttura dell’età e altre condizioni socio-demografiche, con a disposizione le stesse risorse da investire, avranno migliori esiti in termini di salute se dedicheranno risorse non solo ai progetti che migliorano l’economia e il reddito dei loro abitanti, ma anche se effettuano investimenti nel capitale sociale. Quattro sono i meccanismi che legano il capitale sociale alla salute: rendere le informazioni disponibili, influire sulle norme sociali, migliorare i servizi sanitari e la loro accessibilità nella comunità e offrire network di supporto psicosociale. In letteratura esistono diversi approcci per misurare il capitale sociale, come la Social capital community benchmark survey (Sccbs), sviluppata da Robert Putnam, e la Petris social capital index (Psci). Nella rivista vengono presentati quattro articoli sul capitale sociale di una comunità, suddivisi in due categorie: quelli che analizzano i comportamenti – come l’impiego di servizi sanitari, l’assunzione di tabacco, alcol o droghe –, e quelli che guardano direttamente il rapporto fra livello di salute fisica e mentale. Fra le politiche a favore dello sviluppo sociale vi è il sostegno finanziario degli interventi, la definizione di normative e il generare interesse all’interno della comunità sullo sviluppo sociale stesso.
Moving specialist care into the community:
an initial evaluation
Sibbald B, Pickard S, McLeod H et al
J Health Serv Res Policy 2008; 13: 233-239

La sostenibilità dei sistemi sanitari sta sempre più diventando una problematica importante e l’organizzazione delle cure specialistiche rappresenta uno degli snodi in cui i sistemi sanitari dovranno affrontare decisioni strategiche. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare l’impatto sui pazienti e sull’organizzazione sanitaria di un programma chiamato “Closer to home”, che ha riguardato lo spostamento delle cure specialistiche dalle strutture ospedaliere a quelle territoriali in 30 diversi ambiti del National health service. Nella valutazione sono state utilizzate interviste con i fornitori del servizio, con i finanziatori, con i medici di medicina generale e medici ospedalieri e pazienti. Gli esiti del lavoro hanno tenuto conto, dal punto di vista del servizio erogato e organizzativo, dell’impatto sull’assistenza primaria e secondaria, del costo per visita e per paziente, del punto di visita dei pazienti sulle liste di attesa, sull’accesso, sulla qualità tecnica e relazionale, sul coordinamento e sulla soddisfazione.
I nuovi servizi hanno comportato un investimento iniziale elevato sia dal punto di vista organizzativo che del supporto al personale, e la maggior parte dei servizi è stata aggiunta ai servizi ospedalieri esistenti, aumentando la capacità produttiva. Gli aspetti positivi del nuovo servizio, così come riportato dai pazienti, sono stati la riduzione dei tempi di attesa, una migliore qualità tecnica dell’assistenza, una migliore soddisfazione generale e di accesso. Per altri aspetti, come quello del coordinamento dell’assistenza e delle relazioni interpersonali, non vi sono state differenze significative. I nuovi servizi, che hanno riguardato soprattutto le condizioni cliniche più semplici, hanno ridotto la spesa ospedaliera, con un risparmio in termini economici. Alcuni fornitori dei servizi hanno però espresso preoccupazione per quanto riguarda la qualità del servizio erogato e la destabilizzazione delle strutture ospedaliere.
Increasing appropriateness of hospital admissions in the Emilia-Romagna region
of Italy
Louis D, Taroni F, Melotti R et al
J Health Serv Res Policy 2008; 13: 202-208

La regione Emilia-Romagna ha introdotto negli anni passati misure legate al migliore utilizzo dell’assistenza ospedaliera. L’obiettivo di questo studio era quello di valutare l’impatto di queste politiche nell’appropriatezza dei ricoveri per acuti. La valutazione dell’appropriatezza si è basata sui dati di dimissione della regione Emilia-Romagna di tutti gli ospedali dal 2001 al 2005, attraverso i diagnosis related groups e il disease staging, con una validazione dei criteri da parte di un panel di 14 clinici.
La necessità di ricoveri acuti è stata valutata sulla base della diagnosi principale del paziente e della comorbilità, e dei ricoveri chirurgici sulla base delle procedure effettuate. I ricoveri sono stati suddivisi in inappropriati, appropriati e tempestivi, e appropriati, ma tardivi. I risultati del lavoro hanno mostrato che dal 2001 al 2005 i ricoveri inappropriati di più di un giorno sono calati da 20.076 a 11.580, con una diminuzione del 42%. I ricoveri inappropriati di tipo medico sono diminuiti sia negli ospedali pubblici che in quelli privati; tuttavia rimane una quota di ricoveri inappropriati in questi ultimi. I ricoveri potenzialmente inappropriati di tipo chirurgico sono scesi dai 7383 del 2001 ai 4349 del 2005, con una diminuzione del 41%. Lo studio mostra quindi come la regione Emilia-Romagna abbia avuto successo nel migliorare l’appropriatezza nell’uso dell’ospedale per acuti.
Stakeholders’ views of UK nurse and pharmacist supplementary prescribing
Cooper R, Anderson C, Avery T et al
J Health Serv Res Policy 2008; 13: 215-221

La prescrizione integrativa (supplementary prescribing - SP) rappresenta uno dei numerosi modelli di prescrizione farmaceutica non medica introdotta negli ultimi anni a livello internazionale. In Gran Bretagna è stata introdotta nel 2003 nella professione degli infermieri e dei farmacisti: la SP comporta la definizione di un piano prescrittivo accordato fra un prescrittore non medico, un medico e un paziente, a seguito di una diagnosi medica, permette a infermieri e farmacisti adeguatamente formati, di assumersi la responsabilità di un piano prescrittivo specifico per tutta una serie di farmaci, in particolare per pazienti cronici come gli asmatici, i diabetici e gli ipertesi.
La SP ha caratteristiche diverse dalla prescrizione indipendente (independent prescribing), che permette a infermieri e farmacisti di fare anche la diagnosi. Attualmente in Gran Bretagna vi sono 4500 infermieri e 1400 farmacisti, che praticano la prescrizione integrativa. L’obiettivo dello studio era quello di esplorare il punto di vista degli attori chiave coinvolti nella SP, andando ad evidenziare i benefici, le problematiche, gli aspetti di sicurezza e i costi. L’analisi di 43 attori chiave fra cui medici, infermieri, farmacisti, pazienti ha mostrato come la SP sia vista in modo positivo, anche se rimangono alcune problematiche che devono essere superate. Gli infermieri hanno maggiori capacità comunicative nei rapporti interpersonali, mentre i farmacisti sono più preparati dal punto di vista farmacologico. Questo modello può inoltre rappresentare una opportunità per favorire un maggior dialogo fra i medici e i non medici. Nell’articolo vengono discussi i diversi aspetti di questo modello, insieme alle differenze rispetto alla independent prescribing, che richiede una maggiore competenza di queste figure nel porre diagnosi soprattutto per i pazienti complessi.
‘What lies beneath it all?’ - an interview study
of GPs’ attitudes to the use of guidelines
Carlsen, B Norheim FO
BMC Health Serv Res 2008, 8: 218

I medici di medicina generale (Mmg) applicano le linee guida con una certa variabilità e diversi sono i fattori che influenzano l’applicazione delle raccomandazioni nella pratica clinica. In questo lavoro sono stati studiati i fattori legati all’uso delle linee guida da parte di 27 Mmg norvegesi, attraverso 6 interviste semistrutturate condotte nel 2007. Le interviste vertevano sulla fiducia nelle prove e nelle linee guida, sulle caratteristiche di questi strumenti, sulle barriere al loro impiego e su come esse influenzino l’autonomia professionale e la relazione medico-paziente.
Uno degli aspetti più problematici nella valutazione delle linee guida è legato alla mancanza di fiducia nelle stesse, in particolare per la preoccupazione che, nella loro stesura, motivazioni economiche possano superare quelle cliniche. I medici temono che le raccomandazioni governative siano disegnate in modo non trasparente, per controllare i costi a sfavore delle migliori pratiche assistenziali. Se invece la considerazione degli aspetti economici è esplicita, le linee guida vengono ritenute accettabili.
Anche le raccomandazioni prodotte con il contributo dell’industria vengono viste in modo negativo, mentre quelle prodotte dalla medicina generale o con il contributo di medici di medicina generale nel gruppo multidisciplinare sono considerate accettabili in modo unanime.
I medici valutano molto positivamente i documenti costantemente aggiornati, in cui le raccomandazioni sono anche modificate sulla base delle nuove evidenze. Per quanto riguarda i bisogni dei pazienti, a volte la necessità di soddisfarli confligge con l’aderenza alle raccomandazioni.
Un altro aspetto importante riguarda la fattibilità della raccomandazione, data la scarsità di tempo dei medici da dedicare al rapporto con i pazienti e anche al loro aggiornamento.
Questo studio sottolinea anche la necessità della trasparenza del processo di sviluppo e implementazione delle linee guida. Per incrementarne l’adozione, i medici dovrebbero essere resi partecipi sin dalle prime fasi del processo di sviluppo, ed esso dovrebbe essere trasparente ed esplicito a riguardo delle prove raccolte e degli aspetti economici sottesi.
Asking the right questions: scoping studies in the commissioning of research on the organisation and delivery of health services
Anderson S, Allen P, Peckhman S, Goodwin N
Health Res Policy Syst 2008; 6: 7

In generale a tutti è evidente la necessità di fare più ricerca nei diversi ambiti dell’assistenza sanitaria. Lo studio di Anderson si pone il problema dei quesiti a cui la ricerca risponde, analizzando gli ‘scoping studies’, studi usati in numerose discipline con diversi obiettivi e non sempre con risultati significativi. Il programma britannico Service Delivery and Organisation Research (SDO), parte del programma nazionale di ricerca coordinato dal London School of Hygiene and Tropical Medicine, si pone come obiettivo quello di definire gli ambiti in cui fare ricerca.
A questo riguardo diversi fattori vengono considerati, fra cui le conoscenze in un certo settore, il contesto delle politiche sanitarie e l’opinione degli attori chiave. Quando queste informazioni non sono sufficienti, vengono condotti degli scoping studies: a partire dal 2000 ne sono stati completati 24. Gli autori hanno condotto una revisione su di essi con quattro obiettivi: descrivere la natura di questa tipologia di studi, commissionati dal programma SDO, descriverne impatto, definirne gli elementi costitutivi e riportare le problematiche evidenziate. Questi studi non hanno una definizione precisa, ma sono generalmente revisioni non sistematiche della letteratura, che offrono una sorta di mappatura concettuale e legata alle politiche sanitarie su un certo argomento. Fra gli esempi citati nel lavoro, vi sono studi sulla definizione del concetto di continuità assistenziale o di e-health. Questi studi sono stati utilizzati per numerosi obiettivi, fra cui quello di identificare le domande e gli ambiti delle ricerche future, e hanno visto il coinvolgimento degli stakeholder, inclusi gli utilizzatori della ricerca stessa. Le lezioni tratte da questa esperienza sono la necessità di collegare questo tipo di studi con un preciso contesto sanitario, di fare in modo che siano condotti da gruppi multidisciplinari e che siano chiari, non solo sugli obiettivi, ma anche sul loro utilizzo successivo. Questo tipo di studi sembra quindi importante per porre i quesiti giusti ai ricercatori.