Segnalazioni

Public versus private access in the Italian Nhs – The use of propensity score matching to provide more insight on the increasing adoption of voluntary health insurance

Brenna E

Health policy 2025; 156: 105271

L’articolo analizza l’impatto dell’aumento delle assicurazioni sanitarie volontarie (voluntary health insurance, Vhi) sull’accesso ai servizi sanitari specialistici e diagnostici in Italia, un paese il cui sistema sanitario, tipicamente basato sul modello Beveridge, garantisce assistenza universale.

Negli ultimi decenni, il taglio alla spesa pubblica, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei tempi d’attesa nel Servizio sanitario nazionale (Ssn) hanno spinto sempre più cittadini a stipulare una Vhi per accedere privatamente alle cure, evitando lunghe attese e scegliendo il medico di fiducia. Lo studio utilizza i dati dell’European health interview survey e applica la tecnica del Propensity score matching (Psm) per analizzare se la presenza di una Vhi influenzi effettivamente la scelta di accedere a servizi privati piuttosto che pubblici.

I risultati mostrano che chi possiede una Vhi ha il 7,3% in più di probabilità di rivolgersi a uno specialista o a servizi diagnostici privati e il 5-6% in meno di probabilità di usare i corrispondenti servizi del Ssn con ticket. L’assicurazione riduce anche leggermente la fruizione di servizi pubblici gratuiti. Ciò suggerisce un effetto ‘sostitutivo’: chi ha una Vhi tende a usare meno il Ssn, liberando potenzialmente risorse per chi ne ha più bisogno.

Tuttavia, lo studio evidenzia che il possesso di una Vhi è fortemente legato a fattori socioeconomici: reddito elevato, occupazione stabile e alto livello di istruzione, sollevando importanti interrogativi sull’equità dell’accesso alle cure, pilastro fondante del Ssn italiano. Inoltre, l’espansione delle Vhi, fornita come benefit sul posto di lavoro, rischia di escludere i non occupati o lavoratori precari, spesso più bisognosi di assistenza.

In conclusione, se da un lato la diffusione delle Vhi può alleggerire il carico sul Ssn, dall’altro rischia di creare disuguaglianze crescenti. Lo studio invita a un confronto pubblico e regolamentato sul ruolo delle Vhi, affinché non si perda il principio di universalità che caratterizza il sistema sanitario italiano.

Financial incentives and private health insurance demand on the extensive and intensive margins

Kettlewell N, Zhang Y

J Health Econ 2024; 94: 102863

L’articolo analizza l’efficacia degli incentivi finanziari nel promuovere l’adozione dell’assicurazione sanitaria privata (private health insurance, Phi) in Australia, un paese con un sistema sanitario misto pubblico-privato. L’indagine si concentra su due strumenti politici introdotti nel tempo: il sussidio fiscale (rebate), che riduce il costo della polizza per i cittadini a reddito medio-basso, e la tassa addizionale (Medicare levy surcharge, Mls), che penalizza i redditi elevati non coperti da assicurazione privata.

Gli autori utilizzano dati amministrativi fiscali relativi al 2017-18 e applicano un disegno di regressione discontinua per valutare l’impatto delle variazioni dei sussidi e delle penalità ai margini ‘estensivi’ (cioè la decisione di sottoscrivere una Phi) e ‘intensivi’ (quanto si spende per la polizza). L’analisi si concentra sulle soglie di reddito che determinano cambiamenti simultanei nella penalità e nel sussidio.

I risultati mostrano che l’introduzione del Mls a livello del primo scaglione di reddito (90.000 Aud per singoli, 180.000 Aud per famiglie) porta a un aumento modesto del tasso di adesione alla Phi: circa 1,1-1,4 punti percentuali per le famiglie e 3-3,5 punti percentuali per i singoli. Tuttavia, non si osservano effetti significativi ai livelli di reddito superiori. Anche la spesa media per premi assicurativi aumenta leggermente a queste soglie (44-55 Aud per le famiglie, 124-125 Aud per i singoli), senza evidenza di un ridimensionamento delle polizze.

Questi risultati indicano che l’efficacia della penalità fiscale nel modificare i comportamenti assicurativi è limitata, soprattutto considerando che la maggior parte delle persone colpite (fino al 90% dei redditi alti) possiede già un’assicurazione. Inoltre, l’assenza di un effetto sulla qualità delle polizze sottoscritte suggerisce che gli assicurati non si orientano verso coperture meno costose, nonostante la riduzione del sussidio.

Infine, l’effetto del Mls risulta più forte tra i giovani sotto i 31 anni, indicando che i gruppi meno propensi per motivi clinici ad assicurarsi sono anche i più reattivi agli incentivi economici.

Nel complesso, lo studio suggerisce che penalità e sussidi modulati sul reddito, seppur ben disegnati, hanno effetti marginali nella promozione della Phi tra i redditi elevati, e che politiche più mirate verso gruppi specifici o campagne informative più chiare potrebbero essere più efficaci.

What are the policy options for regulating private equity involvement in health care?

Tracey M, Schulmann K, Tille F et al

Health policy 2025; 156: 105312

L’articolo analizza come sette paesi ad alto reddito (Canada, Stati Uniti, Germania, Francia, Irlanda, Finlandia e Paesi Bassi) stiano affrontando l’aumento degli investimenti da parte di fondi di private equity nel settore sanitario.

Negli ultimi 20 anni, il coinvolgimento dei fondi di private equity nella sanità è cresciuto significativamente. I sostenitori affermano che questi fondi possano portare efficienza, innovazione e risorse economiche ai sistemi sanitari. Tuttavia, critiche sempre più forti sostengono che il loro modello di business, orientato al profitto a breve termine, sia in contrasto con i valori sociali dell’assistenza sanitaria e possa avere effetti negativi su qualità, accessibilità e costi dei servizi.

Lo studio mira a identificare le politiche esistenti (implementate o solo proposte) per regolamentare tale fenomeno. Le misure sono state classificate secondo un modello concettuale articolato in cinque categorie: 1. Disclosure (trasparenza): obblighi di notifica e comunicazione alle autorità; 2. Regolamentazione – Aspetti finanziari: limiti su chi può possedere o controllare strutture sanitarie; 3. Regolamentazione – Processi: controlli su come viene erogata l’assistenza; 4. Regolamentazione – Risultati: misure per garantire esiti positivi per i pazienti; 5. Proibizione: divieti diretti o indiretti all’ingresso del private equity in certi ambiti.

La categoria più comune tra i sette paesi è quella della trasparenza. Tutti hanno introdotto meccanismi per richiedere notifiche preventive di fusioni e acquisizioni oltre determinate soglie economiche. Tuttavia, molti interventi sono ancora in fase di proposta e pochi sono specificamente mirati al private equity.

Alcuni paesi, come il Canada o la Germania, pongono limiti sulla proprietà di strutture sanitarie da parte di soggetti non sanitari. In Finlandia e Francia si stanno valutando poteri aggiuntivi per intervenire anche su acquisizioni di piccole dimensioni che potrebbero avere effetti negativi sulla concorrenza. In pochi casi, come nei Paesi Bassi, esistono misure che collegano direttamente la qualità dell’assistenza ai comportamenti degli investitori.

Le misure più restrittive, come il divieto assoluto per i fondi di acquisire enti sanitari, sono ancora rare e non pienamente operative. Un esempio interessante viene dagli Stati Uniti, dove alcuni Stati stanno considerando leggi che vietano l’ingerenza dei fondi nelle decisioni cliniche o addirittura sanzionano penalmente i dirigenti che causano danni ai pazienti.

In conclusione, lo studio mostra che l’interesse verso una regolamentazione del private equity in sanità è crescente, ma le risposte politiche sono ancora frammentarie e poco valutate. Serve una maggiore trasparenza, un monitoraggio più efficace e studi che analizzino gli effetti reali delle politiche già adottate. Questo è particolarmente urgente in un contesto di crescente finanziarizzazione dei servizi pubblici e privatizzazione della salute.

Long‐term care partnership effects on medicaid and private insurance

Costa‐Font J, Raut N

Health Econ 2025; 34 (6): 1171-1187

L’articolo esamina l’efficacia del programma Long-term care insurance partnership (Ltcip) negli Stati Uniti. Si tratta di un’iniziativa congiunta tra Medicaid (assicurazione pubblica per le persone a basso reddito) e compagnie assicurative private, nata per incentivare la sottoscrizione di assicurazioni per l’Assistenza a lungo termine (Ltci) e ridurre la dipendenza da Medicaid.

L’obiettivo del programma è duplice: da un lato, incentivare la diffusione di polizze Ltci tra i cittadini di reddito medio, spesso troppo benestanti per ottenere subito Medicaid ma non abbastanza per sostenere privatamente i costi dell’assistenza; dall’altro, posticipare l’uso delle risorse pubbliche. Il meccanismo di incentivo si basa sulla protezione patrimoniale: chi acquista una Ltci ‘partnership’ può conservare beni pari al valore della copertura assicurativa anche nel caso in cui debba poi ricorrere a Medicaid, evitando così il cosiddetto spend-down dei propri risparmi.

Gli autori analizzano dati longitudinali raccolti tra il 1996 e il 2018, usando un modello di regressione differenziale (difference-in-differences) per confrontare l’impatto dell’introduzione del programma in vari Stati. I risultati principali mostrano che, dopo l’introduzione del Ltcip, la probabilità di acquistare una Ltci aumenta in media di 1,5-1,7 punti percentuali (circa +15%); la probabilità di accedere a Medicaid si riduce dello 0,8-0,9%, cioè circa il 13% in meno rispetto al tasso precedente.

Questi effetti sono più forti tra individui con redditi e patrimoni medi, anziani pensionati, sposati e senza figli. Inoltre, il risparmio pubblico stimato per Medicaid si aggira attorno ai 74 dollari per partecipante di 65 anni, dimostrando che il programma riesce a posticipare l’uso di fondi pubblici.

Lo studio evidenzia anche che il Ltcip può contrastare l’‘effetto crowding-out’, ovvero la tendenza dei cittadini a non stipulare assicurazioni private confidando sull’intervento garantito da Medicaid. In sintesi, l’articolo conclude che il Ltcip è uno strumento promettente per aumentare la copertura assicurativa privata per l’assistenza a lungo termine e migliorare la sostenibilità del sistema Medicaid, senza imporre costi diretti ai bilanci pubblici.

Private health insurance in the United States and Sweden: a comparative review

Dave U, Lewis EG, Patel JH, Godbole N

Health Sci Rep 2024; 7 (3): e1979

L’articolo di Dave e colleghi confronta il ruolo dell’assicurazione sanitaria privata negli Stati Uniti e in Svezia, due paesi con livelli simili di spesa pubblica pro capite per la sanità, ma con modelli organizzativi e risultati molto diversi.

La Svezia ha un sistema universalistico fondato su un modello socialdemocratico, in cui l’assicurazione sanitaria privata (voluntary health insurance, Vhi) ha un ruolo marginale e complementare. Solo il 10% degli svedesi in età lavorativa possiede una Vhi, usata per ridurre tempi d’attesa o coprire servizi non inclusi nel sistema pubblico, come fisioterapia, odontoiatria, vaccini e cure all’estero. Tuttavia, l’uso crescente di assicurazioni private ha generato critiche, poiché crea corsie preferenziali che compromettono l’equità d’accesso. Le Vhi, infatti, sono diffuse tra le fasce più abbienti e non necessariamente migliorano la qualità complessiva del sistema pubblico, ma tendono a sottrarre risorse al settore pubblico stesso.

Negli Stati Uniti, al contrario, il sistema sanitario è fortemente basato sul settore privato. La copertura pubblica (Medicare e Medicaid) è riservata a specifiche categorie di persone (anziani e poveri), mentre la maggior parte della popolazione è assicurata attraverso il datore di lavoro. L’Affordable care act ha ampliato la copertura pubblica e promosso l’adozione di piani ‘Medicare advantage’, ovvero assicurazioni private autorizzate da Medicare, che includono servizi aggiuntivi come cure dentistiche, oculistiche e programmi fitness. Tuttavia, milioni di americani sono privi di copertura sanitaria e sono più esposti al rischio di sostenere spese esorbitanti in caso di malattia.

Dal confronto emergono differenze significative. Gli Stati Uniti spendono oltre 10.000 Usd pro capite all’anno in sanità (il doppio rispetto alla Svezia), ma con risultati peggiori in termini di aspettativa di vita e mortalità evitabile. La spesa privata è molto più elevata (oltre 4.000 Usd pro capite vs 100 Usd in Svezia), e i costi amministrativi sono cinque volte superiori. Questo dipende da un sistema frammentato, con numerosi enti assicurativi, burocrazia complessa e scarsa regolazione dei prezzi.

Gli autori propongono politiche incrociate: la Svezia potrebbe introdurre un modello simile a ‘Medicare advantage’ per rafforzare i servizi complementari nelle aree più fragili, mentre gli Stati Uniti dovrebbero estendere la copertura pubblica per ridurre diseguaglianze e inefficienze. In entrambi i casi, una maggiore regolamentazione e attenzione all’equità può contribuire a migliorare sostenibilità e qualità dell’assistenza sanitaria.

A cura di Silvia Coretti